Il procuratore facente funzioni di Reggio Calabria analizza le proposte del governo: «È giusto cambiare e discutere ma ci sono questioni più urgenti. Sui fenomeni mafiosi nessuna risposta dal Parlamento». La riflessione sul bavaglio alla stampa: «L’informazione libera aiuta a combattere la mafia»
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Parlare di riforma della giustizia, soprattutto alle nostre latitudini, non può che metterci di fronte a interrogativi sempre più imponenti. In una terra che fa i conti con la ’ndrangheta, universalmente riconosciuta come l’organizzazione criminale più potente al mondo, è impossibile riformare senza confrontarsi con chi, nel quotidiano, guarda negli occhi il crimine e le sue evolute forme.
Proprio per questo abbiamo voluto chiedere a chi questi fenomeni criminali li conosce da vicino e ha visto la loro ascesa e i loro continui mutamenti, come questa riforma cambierà dinamiche che sono diventate centrali per il futuro del Paese. Abbiamo chiesto al procuratore facente funzioni di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo come le riforme in queste ore in discussione modificheranno il modo di contrastare il malaffare, come e se incideranno in modo significativo sulla lotta quotidiana per garantire la legalità.
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Procuratore, quello della separazione delle carriere non è l’unico punto che riguarda la riforma della giustizia, ma è fondamentale non solo per chi lavora in questo ambito, ma anche per i cittadini.
«Io penso che di riforme della giustizia si debba parlare. Il confronto è fondamentale, ma deve essere un confronto che parta da dati reali. Il problema, nel discutere di tematiche non facili, soprattutto per chi è estraneo al nostro mondo, è avere dei dati di fondo su cui ragionare, dati che spesso e volentieri non sono pubblici. Questo rischia di creare distorsioni informative, che, a mio modo di vedere, non fanno bene a nessuno».
Le scelte che riguardano la riforma della giustizia sono al centro del dibattito politico, anche nel Governo, in questi giorni: il metodo è quello giusto?
«Le carriere sono già separate, e dobbiamo privilegiare un aspetto sostanziale rispetto a quello che si vuole ulteriormente modificare. Ci sono proposte che riguardano, ad esempio, l’accesso alla carriera del magistrato, ma anche l’evoluzione complessiva della carriera negli anni. Io non discuto il ruolo del legislatore, che ha un compito preciso, diverso dal nostro. Tuttavia, credo che debba esserci un confronto più ampio e un vero approfondimento su quelle che sono le tematiche fondamentali per risolvere le difficoltà del sistema giustizia. Non credo che separare il pubblico ministero dal giudice possa rendere più efficiente la macchina giudiziaria; piuttosto, penso che questo nasconda problemi ben più gravi, come la carenza di organico e l’eccessiva complessità di alcune regole, che, a mio avviso, possono essere riviste e semplificate».
Come si può migliorare il “giusto processo” senza intaccare la completezza del profilo professionale del magistrato?
«Ho sempre svolto il ruolo di pubblico ministero e l’ho interpretato come il ruolo del giudice. La cultura della giurisdizione che abbiamo in Italia è invidiata a livello europeo e mondiale. Non siamo solo un modello per la nostra capacità di operare in contesti difficili, ma anche per le risposte che diamo ai fenomeni criminali gravi, come la 'Ndrangheta, che è un fenomeno globale. Il pubblico ministero è il primo giudice e deve rimanere all'interno del sistema unico tracciato dalla Costituzione, che è stato un modello per molti Paesi. Il nostro obiettivo deve essere quello di garantire giustizia ai cittadini, rispettando regole precise e stabili. In Europa ci chiedono di capire come funziona oggi la ‘Ndrangheta. Tutto questo in Italia non è mai accaduto, il Parlamento italiano non ci ha invitato mai, al Parlamento italiano non interessa sapere oggi la ’ndrangheta che cos’è e come si può contrastare efficacemente. Ma quando siamo stati sentiti nelle varie Commissioni e abbiamo evidenziato che è un errore immaginare che la ’Ndrangheta sia un fenomeno criminale come tanti altri abbiamo assistito a una totale mancanza di risposte»
Esiste anche il nodo delle intercettazioni. Lei ha parlato di Costituzione e di libera informazione. Ci sono riforme che potrebbero ostacolare il rispetto della Carta e il diritto a essere informati?
«L'informazione deve rimanere libera. I cittadini, che vivono quotidianamente queste realtà, sono il principale strumento di lotta alla mafia, perché possono riconoscere i fenomeni criminali e dire No a determinate logiche. Se le informazioni non sono conosciute, ne soffre tutto il sistema di contrasto alle mafie».
Questa riforma alla fine chi danneggerebbe? Rischia di intaccare la Costituzione?
«Non so chi danneggerebbe, ma sono certo che non migliorerebbe nulla. Se vogliamo davvero un sistema giudiziario più efficiente, dobbiamo confrontarci seriamente e individuare le vere criticità, non quelle che alcuni stanno sollevando. Un confronto non dovrebbe avvenire tramite referendum, ma attraverso un dialogo vero. C'è spazio per arrivare a soluzioni condivise e migliorare il sistema giustizia».