In termini tecnici li chiamano “dealer”. Più semplicemente sono rivenditori di sim card telefoniche. È questa una nuova frontiera della lotta al narcotraffico. Lo scrivono chiaramente i pubblici ministeri della Dda di Reggio Calabria nel decreto di fermo dell’operazione “Gerry”.

 

I magistrati non hanno dubbi: ci sono dealer compiacenti che attivano le schede telefoniche consapevoli della finalità delle stesse, ossia sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine e provare a comunicare senza essere intercettati.

 

Di certo non è facile tentare di risalire alla volontarietà dei comportamenti di questi rivenditori telefonici, eppure leggendo le carte dell’inchiesta, tale circostanza appare lapalissiana. Trattando della posizione di Domenico Lentini, personaggio cardine del primo filone dell’inchiesta, gli inquirenti, spiegando come lo stesso utilizzasse un cellulare intestato ad un cittadino del Senegal residente a Cerveteri, in provincia di Roma. «Dal contenuto dei messaggi – spiegano – il cellulare in questione sembrava essere in uso ad un soggetto che aveva commissionato direttamente l’importazione dello stupefacente che sarebbe dovuto arrivare». Ed è proprio a questo punto che viene trattato l’argomento dei rivenditori di sim card: «Anche questo cellulare – si legge – come quasi tutti quelli utilizzati dagli indagati, veniva intestato ad un soggetto fittizio, del tutto inconsapevole, da un dealer compiacente». Viene fatto il nome di un rivenditore di Pontedera, in provincia di Pistoia. Questo, come un altro dealer «si prestava agli indagati mettendo a loro disposizione sim card intestate a terzi soggetti».

 

Scorrendo le pagine del decreto di fermo viene fuori con chiarezza come diverse volte gli inquirenti non siano riusciti ad ottenere i riscontri necessari per provare l’avvenuto smercio di sostanza stupefacente. Il motivo? Il continuo scambio di sim card e metodi di comunicazione, che non ha permesso di poter seguire con costanza l’evolversi degli eventi.

 

C’è allora da chiedersi fino a che punto non possa ritenersi penalmente rilevante un tale comportamento. Non è escluso che una stretta anche in questo senso, possa rendere la vita più difficile ai narcotrafficanti. Impedire, con accertamenti stringenti e sempre più mirati, che ci possa essere una proliferazione di schede sim intestate a soggetti del tutto ignari, toglierebbe una fonte non indifferente a chi fa di questo metodo, una ragione per delinquere.

 

È una frontiera sicuramente difficile da aggredire pienamente, ma la già completa consapevolezza di atteggiamenti di complicità con soggetti pericolosi e tendenti a delinquere, rappresenta un primo passo.

 

Lo ha detto più volte l’attuale procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri: non è semplice correre dietro a personaggi che cambiano schede telefoniche così velocemente; dover procedere subito non solo all’identificazione dell’intestatario, spesso totalmente scollegato da qualsivoglia riferimento, ma addivenire in poche ore anche a colui che la utilizza, provando a scovare la comunicazione che interessa dal punto di vista investigativo.

 

Che in tutto ciò possano dare una grande mano anche le stesse compagnie telefoniche, magari togliendo immediatamente le licenze a coloro che dovessero “macchiarsi” di atteggiamenti se non altro “leggeri” nell’attivazione di sim card? Sarebbe di sicuro auspicabile che ciò avvenisse. Anche perché questo continuo correre appresso a narcotrafficanti abili e con reti di rilievo, comporta costi non indifferenti per la collettività. Costi che vanno sopportati sull’altare della legalità e della lotta ad un settore che rappresenta la fonte primaria di approvvigionamento finanziario per le cosche, senza il quale buona parte della potenza economica verrebbe a mancare inesorabilmente.

 

Consolato Minniti