I genitori di Leo: «Appena arrivati davanti alla struttura abbiamo avuto paura e le notizie su internet ci hanno fatto preoccupare ancora di più. Alla fine però possiamo dire che abbiamo trovato professionisti di altissimo livello» (ASCOLTA L'AUDIO)
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Un’onda improvvisa, il pedalò è scosso con violenza. Il bambino cade dallo scivolo e finisce in acqua. Sembra un banalissimo incidente. Riemerge pochi istanti dopo, sul suo viso una smorfia di dolore. È il pomeriggio del 21 luglio. Sarà l’inizio di un incubo che travolgerà una famiglia di Bergamo, in villeggiatura a Tropea. «Fino a quel momento era stata una splendida vacanza. Quel giorno eravamo andati a Grotticelle», ricorda il padre.
Rientrati in albergo la mamma di Leo si accorge che qualcosa non va. Le urine di suo figlio sono insanguinate. La corsa in ospedale a Tropea. Ma lì sembra mancare tutto. «Niente ecografo, niente Tac». Bisogna raggiungere il nosocomio di Vibo e in fretta. Ma l’ambulanza non c’è. Il piccolo perde i sensi e il padre su indicazione dei medici, decide di trasportarlo a Vibo con la sua macchina. Chiama il 113 poiché non conosce le strade. Vengono inviate due gazzelle che scorteranno l’auto fino allo Jazzolino. Ai sanitari del pronto soccorso la situazione appare subito disperata. Leo ha un’emorragia interna. Bisogna intervenire d’urgenza.
E mentre il primario del reparto di chirurgia Franco Zappia si precipita in sala operatoria con la sua equipe, i genitori di Leo, sottoposti a tampone, risultano positivi al Covid. Non potranno assistere il figlio mentre lotta tra la vita e la morte. A Leo verranno asportate milza e rene, prima di essere dichiarato fuori pericolo.
Leo, la mascotte del reparto
Oggi Leo è diventato la mascotte del reparto. Medici e infermieri lo coccolano. «Ha ricevuto un sacco di giocattoli dalla sua nuova famiglia», dice commosso il padre. Già, perché in quel reparto il suo bambino ha trovato altre mamme e altri papà che indossano il camice bianco e che si sono presi cura di quel bimbo di otto anni quando loro non potevamo. «Da quel brutto incidente sono trascorsi 9 giorni, fatti di notti insonni, di ansia e preoccupazione».
«I medici di Vibo lo hanno salvato»
Ma oggi per i genitori del piccolo è arrivato il momento di dire grazie ai medici dello Jazzolino. «A quei sanitari che lavorano in una struttura fatiscente. Non le nascondo – dice il padre – che appena arrivati davanti alla struttura abbiamo avuto paura. Poi abbiamo fatto qualche ricerca su internet e le notizie non erano affatto incoraggianti. Ma nonostante le evidenti carenze strutturali, possiamo affermare di avere trovato personale medico ed infermieristico di altissimo livello, sia umano che professionale. Hanno salvato la vita di mio figlio e sarò eternamente riconoscente a questi medici che trascorrono tante, forse troppe ore in reparto. Sono sempre lì. Volti che ormai conosco e riconosco. Avremmo potuto trasferirlo a Bergamo, ora che è fuori pericolo – continua – ma la professionalità e l’affetto che abbiamo trovato qui ci ha convinti a restare. Io non conosco i problemi della città di Vibo, posso dire che avete dei medici straordinari. Hanno salvato la vita a mio figlio. Lui è vivo. È qui con me. Ascolto il suo respiro, vedo il suo pancino che si gonfia quando respira, sento il cuore che batte. Lo stavamo perdendo. E invece è qui accanto a me. Mio figlio è vivo grazie ai medici dello Jazzolino di Vibo Valentia», ripete.
È un fiume in piena. Racconta la sua odissea con calma e lucidità. Mentre parla al telefono in un angolo della stanza del reparto entra una dottoressa. Dall’altro capo del telefono riecheggiano le sue parole: «Ciao Leo, stasera come stai? Hai cenato? Dai che presto torni a casa». Poi si rivolge al padre, chiede se ha bisogno di qualcosa. «Ha visto? – riprende la conversazione – Ecco come ci trattano. Sono eccezionali».
Riprendiamo il racconto di quell’odissea che ha avuto un lieto fine. Una brutta storia che lascerà ferite profonde ma anche la consapevolezza che a Vibo ci sono professionisti validi. Capaci di svolgere il proprio lavoro sebbene in condizioni difficili. Un aspetto sottolineato anche dalla mamma del piccolo. La donna ha deciso di affidare ai social la sua gratitudine: «Mio figlio è stato salvato qui nel vostro umile ospedale – scrive su Facebook – Mio figlio vive grazie al primario della chirurgia e alla sua equipe. In questo reparto abbiamo trovato casa, amici, una famiglia. Qui nostro figlio è stato salvato, curato e coccolato. Vi saremo infinitamente grati». E poi conclude con un accorato appello: «Spero che i medici che lavorano qui a Vibo siano aiutati e che possano lavorare con la tranquillità che meritano, senza l’assillo che qualcosa possa mancare. Investite nelle persone brave che salvano vite», conclude la mamma di Leo.