Angel Manuel Garcia, compagno di Medina Pena, la donna trovata morta a Scalea cinque giorni fa, resta in carcere per evidenti contraddizioni nel racconto reso prima ai carabinieri e poi al Pm Maurizio De Franchis. L'interrogatorio di garanzia si è tenuto ieri nel penitenziario di Paola, dove Garcia si trova in custodia cautelare dal 24 dicembre scorso, il giorno dopo la morte della giovane. L'uomo ha sostanzialmente confermato la prima versione, facendo scena muta innanzi alle domande del giudice per le indagini preliminari, Maria Grazia Elia, la quale ne ha convalidato l'arresto.

La versione di Garcia

Secondo la testimonianza del 26enne di origini dominicane, sabato scorso lui e la sua convivente avrebbero partecipato a una festa, durante la quale lei avrebbe fatto una scenata di gelosia, culminata con il ritorno di entrambi nell'appartamento di pochi metri quadri al quarto piano di un palazzo situato nel parco Juliano. Qui i due avrebbero avuto una furiosa litigata. Lui avrebbe preparato le valigie minacciando di andarsene, lei, in un momento di ripensamento e in evidente stato di alterazione, avrebbe minacciato di lanciarsi giù dal balcone. Così, poco dopo la donna, nel tentativo di lasciarsi cadere, per qualche secondo sarebbe rimasta incastrata ad un oggetto metallico. Il compagno avrebbe tentato di aiutarla a risalire ma invano, Medina è precipitata giù schiantandosi al suolo, perdendo la vita all'istante. Sempre secondo la sua personale versione, ci sarebbe stato anche un tentativo di rianimare la donna, ormai riversa in una pozza di sangue.

Alla base dei motivi che invece hanno spinto Garcia a non chiamare né soccorsi né forze dell'ordine, ci sarebbe la paura di essere incolpato della morte della compagna, circostanza che andrebbe a gravare sul suo profilo giudiziario, in cui sono presenti già dei precedenti penali.

Nessun segno di violenza

Se da un lato ci sarebbero delle incongruenze nei racconti, dall'altro la difesa di Angel Manuel Garcia può fare leva sulla mancanza di segni di violenza sul corpo della donna o di colluttazione sul corpo dell'indagato, tanto da costringere l'avvocato ad annunciare ricorso al Tribunale della Libertà per ottenere la scarcerazione del suo assistito.

Ad ogni modo, gli inquirenti sperano di poter avere un quadro più chiaro con gli esiti dell'autopsia, già disposta ma non ancora effettuata.

 

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