Roberto Saviano, con la consueta lucidità e tagliente ironia, interviene su un caso che sta facendo discutere l’intera Milano: quello della Gintoneria, il locale di Davide Lacerenza travolto da un’inchiesta per spaccio di droga e sfruttamento della prostituzione. E lo fa mettendo subito sul tavolo la domanda che molti si pongono sottovoce: dietro quel teatrino di lusso pacchiano e notti a base di champagne e cocaina c’è forse qualcosa di più profondo? C’è l’ombra lunga della ‘Ndrangheta?

Saviano parte da lontano, tracciando una linea che collega il modello Gintoneria ai locali storicamente gestiti dalle mafie in Lombardia. «La ‘Ndrangheta, ma anche la Camorra, quando negli anni Ottanta si sono stabilite al Nord, hanno capito subito il potenziale dei locali notturni», spiega lo scrittore. Un potenziale non solo economico, ma strategico: ristoranti, night club, bische e sale da ballo diventavano terminali per ripulire denaro sporco e creare relazioni con quella zona grigia dell’imprenditoria e delle professioni che, soprattutto in Lombardia, ha fatto da ponte tra affari leciti e traffici illeciti.

Saviano, però, sottolinea anche l’evoluzione di questo “sistema” criminale. «All’inizio – racconta – la regola era l’invisibilità: gli uomini delle cosche volevano locali in cui l’illegalità si muovesse sottotraccia, senza clamore». Poi è arrivata la svolta, incarnata da figure come Francis Turatello, “Faccia d’angelo”, il boss che comprese l’importanza di ostentare il crimine, di fare del locale una vetrina della trasgressione.

Oggi, secondo Saviano, la Gintoneria è figlia di questa scuola: un modello da social network, dove l’illegalità non solo non viene nascosta, ma è parte integrante del brand. «Lacerenza – sostiene – sa benissimo che l’immagine che proietta è illegale. Ma è proprio questa la forza del locale: mostra il male e lo trasforma in marketing». Coca, escort, denaro ostentato come una scenografia permanente, ripresa e rilanciata sui social dagli stessi protagonisti.

Dietro però c’è di più. «Questo modello – aggiunge Saviano – è lo stesso che la ‘Ndrangheta ha saputo adattare all’epoca moderna. Non più solo locali da gestire in sordina, ma vere e proprie ‘fabbriche’ di relazioni e potere, dove la scalata sociale passa dal mostrarsi disinibiti, complici di un sistema che un tempo si sarebbe occultato dietro una parvenza di legalità».

Saviano non si limita all’analisi estetica del fenomeno Gintoneria: suggerisce, pur senza esplicitarlo, che le modalità di gestione del locale – e l’assenza di veri «poteri forti” in quel contesto – ricalcano le dinamiche di una criminalità organizzata che si è evoluta insieme alla società. “Oggi – scrive – il male appare più autentico del bene, perché lo si vede, lo si tocca, si fa esperienza diretta di quella trasgressione che diventa status symbol».

Non è un caso, allora, che la Gintoneria – dietro l’apparenza da circo cafonal – possa rappresentare, secondo Saviano, l’ennesimo punto di snodo tra piccola criminalità imprenditoriale e più ampie reti di riciclaggio e spaccio, caratteristiche tipiche delle mafie nel Nord Italia. I 2 milioni di euro di incassi della Ginco Eventi Spa e i sospetti di autoriciclaggio verso l’Albania aprono interrogativi inquietanti: c’è forse un sistema dietro Lacerenza? E questo sistema ha contatti con la ‘Ndrangheta o con altre organizzazioni?

Del resto, gli inquirenti non escludono piste che portano oltre il “folklore” del locale e che riconducono a dinamiche già viste: infiltrazioni mafiose, soldi che prendono la strada di Paesi dove i capitali si muovono senza troppi controlli, e l’uso dei locali notturni come anello di congiunzione tra economia grigia e criminalità.

Saviano, da parte sua, lancia l’allarme. «Questa non è solo una questione di costume o di degrado morale», avverte. È l’ennesimo capitolo della lunga storia che lega Milano, i suoi locali e il crimine organizzato. Una storia che oggi trova nuovi linguaggi, nuovi palcoscenici e nuovi pubblici, ma sempre lo stesso vecchio copione.