I mancati pagamenti alla società che fornisce il software per gestire le prestazioni domiciliari e residenziali ha determinato il blocco. L’allarme di Longo prima di andare via: «Livelli essenziali di assistenza non quantificabili»
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L’era Longo finisce nel crepuscolo del benservito che gli ha dato Palazzo Chigi, senza attendere le sue dimissioni che tardavano ad arrivare. Ma gli strascichi della reggenza governativa della Sanità calabrese non si esauriscono con l’uscita di scena dell’ultimo commissario, il prefetto Guido Longo appunto.
Il nuovo commissario ad acta, che stavolta coincide con il presidente della Regione Roberto Occhiuto, dovrà fare i conti con quanto è stato fatto (e soprattutto non fatto) negli ultimi anni. Tra gli atti più recenti firmati da Longo c’è una nota interna siglata il 14 settembre scorso anche dai due subcommissari (Pellicanò e Ametta) e diretta ai dirigenti regionali a vario titolo coinvolti nella gestione del settore sanitario.
La nota interna di Longo ai dirigenti regionali
Con toni decisamente allarmati, il commissario sollecitava «i responsabili degli uffici in indirizzo, «ad adottare celermente tutte le idonee soluzioni, tecniche e amministrative, necessarie a una corretta gestione e invio dei flussi ministeriali». In poche ma drammatiche righe, Longo lanciava un appello ai vertici amministrativi ricordando che il mancato invio al ministero della Salute dei dati calabresi (ricoveri, prestazioni sanitarie, posti letto disponibili e tutto il resto) comporta «eventuali penalizzazioni dei punteggi Lea», cioè i Livelli essenziali di assistenza da cui dipende anche l’erogazione dei fondi statali a favore del comparto sanitario delle singole regioni. Ma ciò che maggiormente preoccupava Longo, come si evince dalla lettura della nota rimasta sino ad oggi inedita, è il rischio di «nocumento al patrimonio informatico regionale, con possibili danni erariali e conseguente azione della magistratura contabile».
«Due contratti sono troppi»
Il riferimento esplicito dell’ex commissario è alla inopinata sovrapposizione di due sistemi informatici, Sigemona e Cdi2, che servono a monitorare e gestire gli interventi socio-assistenziali delle persone non autosufficienti. I due applicativi, frutto di due diversi (e onerosi) contratti, fanno la stessa cosa, ma a quanto pare al Dipartimento della salute non sanno bene cosa faccia cosa. Ecco perché nella sua nota Longo chiedeva ai dirigenti di «valutare, anche tecnicamente, le funzionalità dei contratti “SIGEMONA” e “CDI2”, con particolare riferimento alla loro contemporanea esistenza o alla eventuale possibilità di rescissione di uno dei due contratti».
La prima cosa che si intuisce dalle parole di Longo è il rischio che la Regione stia pagando inutilmente due volte per lo stesso prodotto, ma è solo un’impressione superficiale. La questione è molto più intricata e merita un antefatto.
I dati dei pazienti calabresi in "ostaggio"
L’applicativo Sigemona, oggetto del contratto con Gpi Spa - azienda trentina leader nel mercato dei servizi informatici per la sanità e il sociale – è entrato in funzione in Calabria alla fine del 2013, in forza di un bando iniziale da 350mila euro. Da allora ha organizzato i flussi di dati relativi all’assistenza domiciliare e residenziale, consentendo alle cinque Aziende sanitarie provinciali calabresi di gestire la continuità assistenziale a favore dei malati cronici, degli anziani e dei disabili. Poi, nel 2020, qualcosa è andato storto nei rapporti tra la società proprietaria del software e la Regione, che ha fermato i pagamenti.
La conseguenza è stata l’interruzione della trasmissione dei dati Sigemona al ministero, che da gennaio 2021 non riceve più i flussi relativi all’assistenza domiciliare. In altre parole, per il ministero della Salute, in Calabria da un anno queste prestazioni non vengono erogate, anche se in realtà lo sono. I dati che lo certificano e da cui dipendono i Lea sono però in “ostaggio” della società che possiede il software, la quale attende di essere pagata.
Il ministero ancora non lo sa ma la "bomba calabrese" sta per esplodere
La questione non è ancora esplosa in tutta la sua gravità perché il ministero ha finito da poco di elaborare i Lea del 2019 (quando la macchina non si era ancora inceppata) e si appresta solo ora ad iniziare l’analisi dei Livelli essenziali di assistenza del 2020.
Sempre nel 2020, la Regione Calabria ha cercato di dare seguito al Programma operativo sanitario 2019-2021, che prevede esplicitamente la “piena attuazione al progetto CDI2 (Cure Domiciliari Integrate ed Innovative) che ha lo scopo di mettere in rete non solo i soggetti che attualmente utilizzando il sistema SIGEMONA, ma anche gli erogatori, i pazienti, le PUA, i caregiver”.
Per attuare il progetto, però, serve una migrazione di dati dalla piattaforma Sigemona, che per ora restano sottochiave.
La conseguenza di questo groviglio di sigle e soggetti coinvolti è che, nei fatti, Roma non è a conoscenza delle prestazioni di assistenza domiciliare erogate dalla sanità calabrese. Da qui l’allarme di Longo, che attraverso la sua nota chiedeva al dirigente generale della Regione, Tommaso Calabrò, e ai dirigenti del Dipartimento di presidenza e del Dipartimento della salute di sbrogliare la matassa, paventando conseguenze nefaste sia con riguardo ai Lea che a un eventuale danno erariale.
Il subcommissario Ametta: «È vero, poco da aggiungere»
Contattato telefonicamente, il subcommissario Michele Ametta conferma lo stallo e l’impossibilità al momento di rientrare nel pieno possesso dei dati, ma declina con gentilezza ogni invito a ulteriori approfondimenti: «Sì, è vero. Ma c’è poco da aggiungere a quanto scritto nella nota dal commissario Longo, la situazione è quella. E non è neanche la prima volta che viene fatta una richiesta simile ai dirigenti di settore». Si limita solo a uno sfogo: «Lavoriamo senza sosta, 24 ore su 24, ma le risorse umane sono insufficienti. Se avessi 10 esperti da destinare ad ogni Asp i problemi verrebbero risolti e il debito appianato».
L'eterna incompiuta della sanità calabrese: il Sec-Sisr
Vicenda complessa legata a doppio filo con l’eterna incompiuta della sanità calabrese: il Sistema informativo sanitario regionale (Sisr), attivato tra il 2013 e il 2014, per il quale sono già stati spesi circa 40 milioni di euro, sebbene ancora non sia a regime. Anche i dati raccolti e gestiti dalla piattaforma Sigemona, infatti, dovrebbero essere processati in piena autonomia dal Sisr, che invece ancora non lo fa.
Se, dunque, negli ultimi 8 anni le cose fossero andate per il verso giusto e tutti quei soldi fossero stati spesi bene, ora la Regione non si ritroverebbe nella paradossale situazione di non poter gestire le informazioni dei pazienti calabresi che fruiscono dell’assistenza domiciliare e residenziale. Eppure, nel progetto esecutivo del nuovo Sisr (denominato Sec-Sisr) che risale al 2018 si legge che lo stesso «risulta collaudato, quindi funzionante e funzionale ai fini dell’utilizzo da parte delle singole Aziende Sanitarie, così come risultante dal “Verbale di positivo collaudo” consegnato dalla Commissione di Collaudo in data 15 giugno 2018». Una realtà documentale ben diversa da quella che ogni giorno vive la sanità calabrese.
degirolamo@lactv.it
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