È la clamorosa scoperta fatta dagli ispettori del ministero che hanno riscontrato il mancato aggiornamento da parte delle aziende sanitarie della regione del database nazionale. Ad esempio, in uno spoke cosentino risultano solo 16 interventi al femore in un anno, cifra enormemente più bassa di quella reale. Così anche i fondi che arrivano sono meno di quelli che servirebbero
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Quello che risucchia al suo interno il buco nero della Sanità calabrese è qualcosa di inquantificabile. Quantomeno dal punto di vista economico. Ci sarebbero una serie di questioni da redimere prima di dare un valore al debito e risanare il settore. Che vanno dall’organizzazione alla comunicazione per finire al management dell’apparato sanitario, in una regione che – a quanto pare – non è capace di trasmettere qual è il suo reale fabbisogno di assistenza medica ed ospedaliera.
L'ispezione dei funzionari del ministero
I funzionari del Ministero della Salute che nei giorni hanno fatto visita alle strutture ospedaliere della Calabria e principalmente a quelli dell’Asp di Cosenza (hanno visitato prima gli stabilimenti ospedalieri di Paola, Cetraro e Castrovillari per finire a quelli di Corigliano e Rossano) hanno raccolto una serie di dati che saranno utili al capo del Dicastero di via Ribotta ad avviare tutta quella serie di aiuti previsti dal Decreto Calabria per tentare di risollevare la nostra sanità malata. Partendo da quella dell’area cosentina dove si registrano paradossi assurdi. Evidenziati dagli stessi funzionari ministeriali.
Insomma, chi si attendeva una visita ispettiva che avrebbe dovuto sortire tagli di teste o far emergere i grandi malanni (che pur ci sono e continueranno ad esserci) della rete ospedaliera e sanitaria, purtroppo, rimarrà deluso. Nessuna ventata giustizialista. Però – ed è un però importante – la ricognizione degli uomini del Ministero della Sanità servirà probabilmente a riequilibrare un po’ di sperequazione che c’è nei nostri ospedali. Soprattutto dal punto di vista dei posti letto e degli strumenti sanitari adottati. Innanzitutto compiendo una semplice quanto essenziale operazione: rimettere ordine nella comunicazione tra presidi ospedalieri, azienda sanitaria e ministero.
La Calabria non comunica il suo fabbisogno
Già, perché a quanto pare, alla risultanza del grand tour che gli “ispettori” hanno compiuto in compagnia del management aziendale dell’Asp di Cosenza, quello che è emerso – ed è a dir poco sconcertante – molte delle prestazioni mediche fornite all’interno dei nostri ospedali non verrebbero riconosciute dall’apparato sanitario nazionale per un difetto nei tempi di comunicazione. Un’assurdità amaramente vera. E da questo difetto si generebbero tutti gli altri guai che oggi si riscontrano nei nostri ospedali. Pare, infatti – e questo lo avrebbero rimarcato in più occasioni, in questi giorni, i funzionari romani a molti dei dirigenti medici – che oltre l’80% degli interventi, dei ricoveri e di ogni altra prestazione sanitaria compiuta all’interno dei presidi, giungerebbe nel database del ministero fuori dal cosiddetto “Diagnosis Related Group (Drg)”. Che scontornato dal lessico anglosassone (che non si sa perché ma fa se sempre più figo!) non consentirebbero al governo di avere una reale percezione del carico di lavoro che ogni giorno si compie sul territorio.
Un esempio eclatante
Uno degli esempi più eclatanti è quello degli interventi al femore. A Roma, a quanto pare, sanno che operazioni di questo tipo in Drg (che è poi la sigla che fa arrivare i soldini, fa sbloccare le assunzioni e fa aumentare i posti letto) in uno degli spoke cosentini se ne compierebbero soltanto 16 in un anno. Eppure i nostri ospedali sono pieni di pazienti ricoverati per interventi chirurgici da fratture e rotture di femore.
Meno fondi
Ed allora, se si fa il più ed il meno tra i posti letto (e quindi i Lea e quindi tutto il restante fabbisogno di personale) che vengono ridotti anche perché a Roma sanno che non ne abbiamo molta necessità (se facciamo 16 interventi di femore in un anno!), e tra i soldi che vengono spesi per lo straordinario invece che per l’ordinario, ne viene fuori un papocchio cosmico. Di chi è la colpa? Probabilmente di una governance della sanità che poi non è proprio ferrata a ricoprire ruoli manageriali. La sanità calabrese, infatti, è stracolma di medici posti alla direzione delle strutture aziendali. Ma un medico è bravissimo a curare una patologia ma non ha le competenze a far di conti e amministrazione. E qui ritorna in auge l’ormai vecchio motto che è dei 5 stelle: “Ognuno al proprio posto, con merito e con le proprie competenze”. Se così è, ora l’attuazione del Decreto Calabria (che dovrebbe essere prorogato per un altro anno) con un quadro più chiaro fatto dai funzionari del ministero, dovrebbe rimettere tutte le cose a posto. Chi vivrà – sanità calabrese permettendo – vedrà!