VIDEO | L’uomo subì trasfusioni alle fine degli anni Settanta nel'ospedale di Lamezia Terme sviluppando l’epatite C
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Reparto di Chirurgia Generale di Lamezia Terme, siamo alla fine degli anni Settanta, quando l’ospedale si trova ancora nel quartiere Sant’Antonio e domina dall’alto la città. È qui che durante un intervento chirurgico su un lametino le cose non si mettono bene, il paziente perde sangue, c’è urgenza di una trasfusione. Ben tre le sacche che arrivano dal centro trasfusionale. L’uomo si salva la vita, ma dopo anni si renderà conto di avere contratto con quelle trasfusioni l’epatite C e questa nel tempo si trasformerà in cirrosi epatica.
Ora a 41 anni di distanza gli eredi di quell’uomo, ormai deceduto, sono riusciti ad avere il riconoscimento degli assegni previsti dalle legge per chi ha subito una trasfusione di sangue infetto. Sangue malato che negli anni Settanta in America e in Europa infettò milioni di persone creando un vero e proprio caso i cui risvolti giudiziari in Italia sono ancora in atto. «Quest’uomo ha vissuto una vita precaria, la patologia che ha contratto, l’epatite C, comporta spossatezza e inadeguatezza ad affrontare la vita quotidiana. È una vita che non si augura a nessuno», racconta Tommaso Colloca, avvocato degli eredi di quest’uomo riusciti ora ad avere quanto previsto dalle legge 210/1992.
Un riconoscimento non semplice. Inizialmente la Commissione medico ospedaliera di Messina ha rigettato la domanda non trovando traccia delle trasfusioni sul diario clinico del paziente. Poi il ricorso al Giudice della Previdenza del Tribunale di Lamezia Terme e la testimonianza del centro trasfusionale a cui risultano annotate quelle tre sacche inviate in chirurgia con la dicitura “urgentissimo” e mai rientrate quindi utilizzate tutte. Poi ancora il confronto tra i valori ematici pre e post operatori fino ad arrivare alla condanna del Ministero della Salute a corrispondere agli eredi l’assegno “una tantum” previsto dalla legge.