Sentenza di secondo grado dopo un precedente annullamento con rinvio ad opera della Cassazione. Regge il reato di associazione mafiosa
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Sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro (presidente Caterina Capitò, giudici Giovanna Gioia ed Elvezia Antonella Cordasco) nel processo nato dall’operazione antimafia denominata “Romanzo criminale” contro il clan Patania di Stefanaconi. Un processo di secondo grado che arriva dopo un precedente annullamento con rinvio ad opera della Cassazione sul reato associativo. Questo il verdetto: 9 anni di reclusione per Bruno Patania, di Stefanaconi; 10 anni per Francesco Lopreiato, di San Gregorio d’Ippona; 10 anni per Cristian Loielo di Sant’Angelo di Gerocarne; 9 anni per Caterina Caglioti di Stefanaconi (moglie di Nazzareno Patania, fratello di Bruno). Confermate le condanne rimediate in primo grado per: Giuseppina Iacopetta di Stefanaconi (14 anni); Alessandro Bartalotta di Stefanaconi (10 anni); Andrea Patania di Stefanaconi (9 anni); Giuseppe Patania di Stefanaconi (16 anni); Nazzareno Patania di Stefanaconi (12 anni); Salvatore Patania di Stefanaconi (15 anni); Saverio Patania di Stefanaconi (15 anni).
Quali pene accessorie, la Corte d’Appello ha applicato a Bruno Patania, Francesco Lopreiato e Cristian Loielo l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e legale durante l’espiazione della pena nonché, a condanna espiata, la misura di sicurezza della libertà vigilata per due anni.
Il risarcimento dei danni
Tutti gli imputati sono stati altresì condannati (in solido tra loro) al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili, già liquidato con la sentenza di primo grado del Tribunale di Vibo. Inoltre Alessandro Bartalotta, Caterina Caglioti, Giuseppina Iacopetta, Cristian Loielo, Francesco Lopreiato, Andrea Patania, Bruno Patania, Giuseppe Patania, Nazzareno Patania, Salvatore Patania e Saverio Patania sono stati condannati alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili: Provincia di Vibo, Comune di Stefanaconi, Alilacco Sos Impresa, Associazione per la liberazione degli imprenditori, lavoratori autonomi e commercianti dal crimine organizzato, liquidate in 2.128,00 euro per ciascuna di esse.
Le accuse
La sentenza di primo grado era stata emessa dal Tribunale di Vibo Valentia il 12 marzo 2017. Associazione mafiosa il reato principale contestato. Il procedimento penale nasce dagli esiti di una complessa ed articolata attività di indagine condotta dai militari del Roninv dei carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia che aveva preso le mosse da molteplici fatti omicidiari consumati tra settembre 2011 e luglio 2012 nel Vibonese, in relazione ai quali sono stati celebrati distinti processi a Catanzaro nell’ambito dell’operazione c. d. “Gringia”.
Alla morte di Fortunato Patania (ucciso nel settembre 2011 dal clan dei Piscopisani), i figli – seppure formalmente non battezzati nella ‘ndrangheta, con apposito rito di affiliazione, per via della faida in corso con i Piscopisani – avrebbero preso “parte attiva all’associazione mafiosa, riconosciuti nel contesto criminale locale quali responsabili di Stefanaconi e stretti alleati del boss Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, che avrebbe finanziato con centomila euro la guerra di mafia contro il clan dei Piscopisani provvedendo al reperimento delle armi da fuoco”. Oltre al reato associativo venivano, a vario titolo, contestati i reati di usura, estorsione, danneggiamento, detenzione e porto illegale di armi da fuoco.
Impegnati nel collegio di difesa gli avvocati: Sergio Rotundo, Enzo Galeota, Tiziana Barillaro, Antonio Lomonaco, Salvatore Staiano, Gregorio Viscomi, Antonio Larussa, Giovanni Oliverio.