«Ha già fatto la buca allora… a cena per una festa… c’era già la buca». Una traccia audio appena udibile, luce fioca su un delitto di ’ndrangheta che si è consumato sull’asse Calabria-Piemonte. A Moncalieri, dove i cognomi delle famiglie di mafia sono sovrapponibili a quelli della Locride. I magistrati della Dda di Torino intercettano la frase che potrebbe essere legata a un caso di lupara bianca che risale al 2009: la scomparsa di Rocco Vincenzo Ursini.

Il contesto è quello dell’inchiesta Echidna che ha scoperchiato il pentolone delle infiltrazioni mafiose nei lavori della Torino-Bardonecchia. E molto altro: legami imbarazzanti tra colletti bianchi e boss, minacce agli imprenditori e vizi di una politica fin troppo incline al compromesso. Al centro degli affari c’è la famiglia Pasqua: padre (l’80enne Giuseppe) e figlio (Domenico Claudio, 54 anni): sede sociale a Brandizzo e legami con San Luca. I Pasqua, padre e figlio, parlano e i carabinieri del Ros registrano: quelle conversazioni «forniscono importanti riscontri» sulla presunta appartenenza dei due alla ’ndrangheta «e documentano la diretta conoscenza di dinamiche interne all’associazione che riguardano personaggi di primo piano dell’organizzazione come Mario Ursini e Renato Macrì».

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Il primo è stato uno dei principali protagonisti della criminalità piemontese sin dalla fine degli anni 80. Il pentito Rocco Varacalli «lo ha indicato come capo storico della ’ndrangheta a Torino». Renato Macrì, suo nipote, ha mosso i primi passi della propria carriera criminale al fianco del boss e, dopo una serie di condanne «per traffico di stupefacenti, usura, estorsione e altri gravi delitti», è stato condannato a un anno e 8 mesi nel processo Minotauro.

Ursini e Macrì sono legati da vincoli di parentela con Rocco Vincenzo Ursini, sparito il 9 aprile 2009: il suo corpo non è mai stato ritrovato. Torniamo a quelle parole pronunciate a bassa voce da Giuseppe Pasqua: «Con Ursini hanno fatto male… è una brava persona». Suo figlio risponde: «Ma ha già fatto la buca allora… a cena per una festa… c’era già la buca… vi facciamo vedere dove la portavano… avevano fatto già la buca». Le frasi, evidenziano i magistrati antimafia, «potrebbero fare riferimento all’evento che ha visto coinvolto lo scomparso Vincenzo Rocco Ursini». Il giovane scomparso era nipote del boss Mario Ursini e promesso sposo della figlia di Rocco Schirripa, condannato per l’omicidio del procuratore capo di Torino Bruno Caccia. Solo poche tracce sparse: una pista investigativa che ruotava attorno alla vita notturna di Moncalieri, la sua auto – un’Alfa 166 – ritrovata in divieto di sosta a Mappano, gli appelli della sorella a “Chi l’ha visto?”.  

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Ursini è un caso di lupara bianca così datato che se ne trova traccia anche nell’inchiesta Crimine, una delle pietre miliari nel racconto dell’invasione della ’ndrangheta al Nord. A Siderno si commenta ciò che è accaduto in Piemonte: le cimici piazzate nella lavanderia “Ape Green” sono una miniera di informazioni per gli investigatori. Giuseppe Commisso, il Mastro, è uno dei capi della Locride. Assieme a lui c’è Carmelo Bruzzese, vertice del locale di Grotteria. Nelle intercettazioni captate alla vigilia di Ferragosto 2009 «i due commentano l’avvenuto omicidio di Rocco Ursini attribuendolo agli esponenti di una cosca di Delianuova», che sarebbero stati creditori nei confronti della vittima di una somma pari a 20mila euro. «Quello che è morto – dicono i due intercettati in lavanderia – gli doveva dare 20mila euro ai Macrì, che sono parenti dell’Americanello (…) poi hanno litigato, hanno girato e voltato e all’ultimo lo hanno ucciso». Il Mastro riporta anche le minacce pronunciate all’indirizzo del padre della vittima: «Tu mi devi dare tutti i 20mila euro, altrimenti prima ammazziamo a tuo figlio e poi tu devi morire di crepacuore».

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Altra indagine – Minotauro – e commenti ancora più vicini nel tempo alla scomparsa del giovane: lo scenario non è una lavanderia ma un bar. Gli interlocutori sono Giuseppe Catalano, all’epoca «capo del locale di Siderno distaccato a Torino e rappresentante delle altre articolazioni dell’associazione mafiosa nella provincia di Torino» e Giuseppe Marvelli, «appartenente al locale di Natile di Careri e all’epoca rappresentante della Provincia Jonica». Le parole di Catalano chiudono il cerchio con quelle pronunciate sottovoce dai Pasqua: «Lo hanno infilato in una buca… e lo andavano cercando per cosa? E non dice nessuno niente, che vogliono ritrovare?». Frasi che sovrapponibili a quelle finite nell’inchiesta della Dda di Torino. Con un finale profetico: 15 anni dopo, di Rocco Vincenzo Ursini non c’è alcuna traccia.