La prima telefonata è arrivata dall’Inghilterra. E molte altre ne sono seguite, un po’ da tutta Europa, già da ieri sera. Come era successo dopo la tragedia di Steccato di Cutro, ora a Roccella, nuovo teatro dell’ennesima tragedia del mare sulla rotta turca, i parenti dei sopravvissuti e delle vittime hanno saputo da Tv e internet del naufragio e hanno iniziato a tempestare di telefonate i numeri della Croce Rossa, che per ore si è occupata della prima assistenza agli 11 sopravvissuti arrivati in porto a metà mattina di lunedì.

Leggi anche

Come a Cutro 

Qualcuno ha visto nelle immagini dei sopravvissuti riproposte in loop dai media, un viso che sembrava quello di un parente, altri sapevano della partenza imminente dei loro cari dalle spiagge della Turchia verso l’Italia. Tutti cercano informazioni dopo avere perso i contatti con i propri cari rimasti in balia del mare per diversi giorni prima dell’affondamento del veliero che avrebbe dovuto portarli verso una nuova vita in Europa. Già nei prossimi giorni i primi familiari potrebbero arrivare a Roccella nella speranza di trovare i loro parenti e i loro amici tra gli undici migranti che finora le squadre di soccorso partite da Roccella sono riuscite a portare in salvo. E altri arriveranno per le operazioni di riconoscimento dei cadaveri. Almeno i pochi che sono stati trovati finora.

Una situazione che sembra fare il paio con quanto avvenuto nelle ore successive al naufragio di Steccato, con decine di parenti e amici delle vittime che affollarono per giorni il Pala Milone di Crotone diventato camera mortuaria, sfilando tra le bare schierate alla ricerca di qualcosa che li aiutasse a riconoscere tra i corpi, il viso del proprio fratello, della propria madre, del fidanzato. Una processione tristissima che durò giorni e fu interrotta brevemente solo durante la visita discreta e silenziosa del capo dello Stato Sergio Mattarella, che a quei morti inghiottiti dal Mediterraneo volle rendere omaggio di persona. Da Roma intanto sono partite verso la Calabria squadre di professionisti che dovranno garantire il supporto psicologico ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime, oltre che ai volontari impegnati nelle operazioni di soccorso, molto segnati da questa ultima esperienza.

Leggi anche

I morti

Dei circa 60 migranti che mancano all’appello (tra loro ci sarebbero anche più di venti bambini che, a sentire i racconti dei sopravvissuti, erano imbarcati su quel veliero monoalbero affondato) nessuno finora è stato ritrovato in vita e sono pochissimi i corpi che sono stati recuperati dalle squadre di soccorso. Solo sei finora. I soccorsi che pattugliano da ore quell’area di mare tra la Grecia e la Calabria li hanno trovati non troppo distanti dal relitto. Le salme sono in queste ore in viaggio verso il porto delle Grazie dove dovrebbero arrivare a notte inoltrata. Le operazioni di ricerca sono comunque tuttora in corso con diversi mezzi navali e aerei ma con il passare delle ore, la speranza di trovare qualcuno ancora in vita diminuiscono notevolmente. A complicare le cose anche la notevole distanza – circa 120 miglia nautiche – tra il luogo della tragedia e le coste calabresi.

Leggi anche

Il naufragio

Sarebbe stata un’esplosione avvenuta all’interno del natante a peggiorare le cose nelle fasi drammatiche del naufragio. Una deflagrazione, confermata dai segni sui corpi dei sopravvissuti che hanno riportato ustioni e  ferite da trauma esplosivo, che potrebbe essere avvenuta a causa di un gommone di salvataggio. Secondo quanti riferito da alcuni dei sopravvissuti infatti, nelle fasi concitate che hanno preceduto l’affondamento del natante – rimasto per ore semi sommerso – qualcuno, preso dal panico, avrebbe tentato di aprire il mezzo di salvataggio quando si trovava ancora nella zona sotto coperta del veliero. Una manovra disperata che potrebbe avere peggiorato una situazione già drammatica.