Majidi, accusata di essere una scafista, ha ritrovato la libertà dopo l’arresto in Calabria: ora è nel Reggino, a Sant’Alessio in Aspromonte. Il suo processo è ancora in corso e intanto ha presentato richiesta di asilo politico e si è ricongiunta con il fratello Razhan. Ecco la loro storia
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
«È stato bello finalmente fare una passeggiata in città, in un periodo dell'anno in cui tutto è addobbato a festa. Mi sono ricordata di quando, qualche giorno prima della mia partenza lo scorso anno in Turchia, con un gruppo di amici iraniani, il 21 dicembre avevamo festeggiato il solstizio di Inverno, per noi una secolare tradizione. Mi sono resa conto dell'anno che è appena passato e di quanto sia stato lungo, assai duro e difficile. Mi sono resa conto di quanto io abbia nostalgia di casa e della vita di prima. La mia incolumità è stata sempre più in pericolo, per questo ho lasciato prima l’Iran e poi il Kurdistan iracheno. Il mio attivismo politico mi esponeva troppo. Scappare, per me e mio fratello Razhan, è stato necessario per non rischiare la vita».
Dunque con un senso di nostalgia e di dolore per un lungo periodo di detenzione mentre si proclamava innocente, Maysoon Majidi ha passeggiato, trovando una ragione per sorridere anche perché accanto a lei adesso c'è suo fratello Razhan, con il quale un anno fa ha lasciato il Kurdistan Iracheno per cercare un posto più sicuro in cui vivere. Ad accompagnarli lo street artist Bruno Salvatore Latella, in arte Lbs, che lo scorso ottobre ha dedicato alla storia di Maysoon, l’opera intitolata “La colpa dell’innocente” in via Filippini a Reggio Calabria.
L'approdo, l'accusa e il carcere
Alla fine del 2023, Maysoon ha raggiunto via mare l'Italia sbarcando a Crotone dove però ad attenderla, nonostante si proclamasse una rifugiata politica, c'è stato il carcere con l'accusa di essere stata una scafista durante la traversata che l'aveva condotta in Europa. Il processo, in cui è difesa dall'avvocato Giancarlo Liberati, è in corso presso il tribunale di Crotone con prossima udienza fissata al 15 gennaio, giorno in cui al momento è previsto uno sciopero dei penalisti. Se sarà confermato, anche l’udienza subirà un rinvio.
Maysoon Majidi, l’attivista curdo-iraniana, regista e reporter, impegnata nella difesa dei diritti delle donne in Iran e per la causa dell'indipendenza del popolo curdo, e dunque invisa al regime iraniano, è stata rilasciata dopo quasi dieci mesi di detenzione tra Castrovillari e Reggio Calabria lo scorso ottobre.
Separarsi e ritrovarsi
Maysoon era stata arrestata e Razhan aveva raggiunto la Germania senza che passasse un giorno in cui non pensasse a sua sorella. Molto più di un legame di sangue perché con Maysoon ha condiviso e condivide la militanza nel partito di opposizione al regime iraniano e l'impegno per la causa di indipendenza da Iran, Iraq, Turchia e Siria del popolo curdo. Da qualche mese sono di nuovo insieme. Si sono ritrovati a Riace, grazie alla generosità di Mimmo Lucano, che ha insignito Maysoon della cittadinanza onoraria, e adesso sono stati inseriti in un progetto Sai a Sant’Alessio in Aspromonte, dove potrebbe iniziare per loro un periodo di maggiore tranquillità. Nei giorni scorsi sono stati a Reggio per alcune pratiche burocratiche. In questo frangente sono venuti a trovarci.
La vita di prima
Il sorriso di Maysoon si è dilatato oltremodo, illuminandole tutto il volto, quando è entrata nella redazione del Reggino.it e ha ricordato l’attività che svolgeva prima di dover lasciare tutto per mettersi al sicuro. Prima del carcere, che le ha causato sofferenza psicologica e un forte dimagrimento fisico, prima di quell'isolamento dalla società civile nella quale lei era stata sempre attiva, esprimendo opinioni e battendosi per le proprie idee.
La richiesta di asilo politico
Maysoon e Razhan, 28 anni lei e 25 lui, ci hanno raccontato come stanno vivendo questo momento della loro vita. Dopo essere stati accolti dal sindaco di Riace Mimmo Lucano, dove hanno potuto fruire solo di un alloggio, adesso si sono aperte le porte del progetto Sai a Sant’Alessio in Aspromonte, sempre nel reggino.
Ci sarà anche per loro la possibilità di accedere a una serie di servizi in quanto richiedenti asilo. Mentre attendono di essere dichiarati rifugiati politici, questa sarà per loro una nuova fase in cui capire quali possibilità di vita e di futuro potrebbero esserci in Italia.
Maysoon è già stata ascoltata dalla Commissione per il diritto di asilo politico. È in attesa dell'esito ma è ancora sotto processo a Crotone, nonostante il rilascio.
Il fratello Razhan, che era riuscito a raggiungere la Germania ma che in forza del regolamento di Dublino, che prevede che la richiesta di asilo debba essere presentata nel paese di primo approdo ovvero l'Italia, è tornato nel paese in cui è sbarcato un anno fa. Qui ha potuto riabbracciare la sorella. Adesso anche lui sta approntando i documenti per richiedere l'asilo politico.
Intanto non si è placata l'urgenza di Maysoon di raccontare la sua storia e di spiegare come lei e suo fratello non siano migranti economici ma richiedenti asilo. Spiegare come i rifugiati scappino da situazioni diverse ma non meno gravi. Maysoon, in questa occasione, tiene a parlare nella sua lingua, il Farsi ossia il persiano. Così ci viene in aiuto la mediatrice interculturale Parisa Nazari.
«Non siamo migranti economici ma rifugiati»
«Non siamo migranti. Siamo rifugiati che scappano per cercare un posto sicuro e protezione. Si tratta di situazioni profondamente diverse, che vanno differenziate in modo adeguato. Noi siamo richiedenti asilo - spiega Maysoon Majidi - ciò vuol dire cerchiamo un posto sicuro e invochiamo protezione dalle persecuzioni e dalle violazioni dei diritti umani che subiamo nel nostro Paese. Noi non siamo migranti di carattere economico. Fuggiamo da una situazione diversa che ci espone ad aggressioni, persecuzioni e persino alla morte.
In Iran sono in atto persecuzioni politiche per chi si oppone al regime come me e Razhan. Per questo eravamo andati nel Kurdistan iracheno. Qui però vige da un pò un accordo tra autorità iraniane e irachene di non concedere più alcun rinnovo del permesso soggiorno agli esponenti del partito opposizione. Per me e Razhan era diventato davvero tutto molto difficile.
Tornare adesso indietro significherebbe rischiare di essere aggrediti, come accaduto a tanti. Questo dovrebbe dare la misura del rischio enorme al quale eravamo esposti e della necessità di essere accolti in un paese sicuro. Sapevamo - sottolinea ancora Maysoon Majidi - che il riconoscimento del diritto di asilo non sarebbe stato facile e che sarebbero stati necessari tanti passaggi burocratici. Ciò nonostante, siamo scappati per sopravvivere. Le politiche restrittive con riferimento al riconoscimento di questo status non riconosciuto ad alcuni siriani, nonostante nella loro patria imperversi la guerra, non fermeranno la fuga di chi non ha altra scelta per sopravvivere».
Perseguitato perché militante nel partito curdo
«In Iran facevo parte del partito di opposizione, del partito curdo. Anche con la sola appartenenza si rischia ancora oggi la pena di morte. Molte pene capitali sono pendenti con questa accusa. Io volevo e voglio vivere, per questo avevo lasciato l'Iran per raggiungere il Kurdistan iracheno. Ma anche lì il regime iraniano ci perseguitava. Droni sparavano e le minacce erano costanti. Eravamo ancora in pericolo. Dovevamo andare via e così abbiamo fatto», racconta il fratello Razhan.
La speranza di futuro
«In questo momento fatico a pensare al futuro. L'incertezza della situazione non mi consente di farlo in tranquillità. Non escludo in modo assoluto di restare in Italia, dove adesso devo rimanere per attendere la fine del processo e l'esito della richiesta di asilo. Certamente - spiega Maysoon Majidi - quando sono partita, guardavo a questo paese come una porta per entrare in Europa e raggiungere la Germania. Lì avevo già preso contatti con degli amici dei gruppi della diaspora dei curdi e avevo anche tradotto dei documenti in tedesco per potere completare un master in Sociologia che avevo iniziato. Adesso siamo in Italia e per le note vicissitudini qui devo rimanere. Ed è dura pensare - sottolinea ancora Maysoon Majidi - che sia il Paese dove sono arrivata chiedendo protezione e dove invece sono stata arrestata e accusata di avere tratto profitto da una traversata pericolosa in cui anche io e mio fratello, come gli altri migranti, abbiamo rischiato di morire. Adesso, però, siamo stati accolti a Sant’Alessio in Aspromonte. Vedremo. Vogliamo essere fiduciosi».
«Sono un grafic designer e un attivista diritti umani. Nel periodo in cui sono stato in Germania - racconta Razhan - non è stato possibile intraprendere alcun percorso stabile. Non stavo bene. Era angosciato per mia sorella Maysoon, di cui non avevo avuto a lungo notizie. Adesso, in Italia, non riesco a non pensare che in questo paese lei è stata incarcerata. Non so se l'Italia possa essere per noi quel paese sicuro che cercavamo e al quale abbiamo diritto, avendo lasciato il nostro per sopravvivere alle persecuzioni del regime iraniano. Certamente il recente ingresso in un progetto Sai qui in Calabria, ci fa ben sperare.
Vedremo, per ora spero soltanto di potere ricominciare e spero un giorno di poter lavorare e di fare arrivare dall’Iran, in modo regolare e non rischiando la vita come abbiamo fatto io e Maysoon, anche la
mia adorata fidan zata. Tornando a essere vicini, costruiremo la nostra vita insieme. Voglio essere ottimista e fiducioso che riusciremo qui o altrove a vivere senza che le nostre idee ci espongano al pericolo di vita. Intanto, adesso non vediamo l'ora che quest'anno durissimo finisca. Tutti abbiamo davvero sofferto tanto», conclude Razhan, fratello di Maysoon Majidi.