È quanto emerge nei dettagli dell'operazione condotta dalla dda di Catanzaro. La struttura gerarchica doveva mantenere la 'pace' all'interno del penitenziario
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Che gli istituti di pena, in buon numero, non svolgono in Italia quell’opera di rieducazione del condannato voluta dalla Costituzione è dato assodato da tempo e dovrebbe imporre serie riflessioni da parte della classe politica e della stessa magistratura. Anni di processi e condanne definitive senza una seria riforma degli istituti penitenziari servono infatti a ben poco nella lotta alla mafia.
E anche l’operazione “Rinascita – Scott” della Dda di Catanzaro (LEGGI i nomi degli indagati) offre uno spaccato in tal senso con un apposito paragrafo che prende in esame il locale di ‘ndrangheta all’interno del carcere di Vibo Valentia. Come dire: anche all’interno dell’istituto di pena vibonese è operativa la struttura mafiosa che governa la ‘ndrangheta esattamente come sul territorio.
Il locale di ‘ndrangheta in carcere
Fra le contestazioni mosse infatti al boss di Zungri Giuseppe Accorinti, vi è anche quella di aver formato, mantenuto e diretto all’interno del carcere di Vibo Valentia, durante i periodi di detenzione, «un’articolazione strutturata dell’organizzazione criminale, operando con metodologie mafiose per assumere il controllo e la gestione detentiva del primo piano del reparto della casa circondariale nuovo complesso penitenziario». Il lavoro di monitoraggio ha permesso di rilevare come tali dinamiche delinquenziali siano «attuali e si siano costituite all’interno del carcere di Vibo ed in dettaglio nella sezione detentiva osservata».
Le gerarchie
Nello specifico le gerarchie interne fanno riferimento a quello che è l’ordinamento della ‘ndrangheta, andando a costituire un vero e proprio “Locale del carcere” la cui reggenza è demandata al soggetto con la carica più alta nell’onorata società, in questo caso il boss Peppone Accorinti. «La consorteria criminale opererà nell’interesse di gestire la sezione detentiva e al contempo farà in modo di curare i propri interessi anche attuando comportamenti illeciti».
Anche in una struttura penitenziaria come quella vibonese in cui è la linea di comando della direzione a gestire le allocazioni in camera detentiva ed i successivi spostamenti, si è accertato che prima delle richieste alla direzione del cambio di ubicazione dei detenuti, sia stato investito il gruppo criminale capitanato dall’Accorinti per il placet.
La necessità di controllo
Ciò che avviene all’interno della struttura penitenziaria risulta per molti versi speculare a quanto accade all’esterno, con la sola differenza che, al fine di concretizzare l’esercizio del potere, la consorteria consolidatasi all’interno del carcere avrà necessità di acquisire il controllo del territorio inteso, in questo caso, come reparto detentivo.
«L’esercizio del potere in un ambiente limitato quale una sezione detentiva è indirizzato – evidenzia la Dda – a tutti gli altri ristretti che si troveranno, oltre ad essere privati della loro libertà personale, ad un’ulteriore privazione nella scelta delle condotte da tenere».
Mantenere la “pace”
Le consorterie criminali impongono le proprie regole, che avranno in primis lo scopo di mantenere la “tranquillità” e la “pace” all’interno della sezione detentiva per evitare stringenti controlli, per poi poter mettere in atto tutte quelle azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati dalla consorteria e conseguiti anche mediante condotte illecite, operando in contrapposizione a quelle che sono le regole dello Stato.
In maniera significativa, un passaggio fondamentale di un’intercettazione svela che il boss Peppone Accorinti ha fatto esplicito riferimento al delitto Cosmai, ex direttore del carcere di Cosenza. Accorinti spiegava infatti che attualmente il carcere di Cosenza è “una favola”, ottenendo come risposta dall’interlocutore la differenza con l’istituto di Vibo Valentia: «E’ difficile qua».
Minacce di morte ai detenuti
E’ a questo punto che Giuseppe Accorinti esplicitava che la medesima condizione di difficoltà vi era anche presso il carcere di Cosenza prima del delitto Cosmai, migliorata – a suo dire – solo “Dopo che hanno ammazzato a coso, quando hanno ammazzato a Cosmai”.
Idee di morte stroncate dall’inchiesta “Rinascita-Scott” che hanno rispedito Giuseppe Accorinti nuovamente in carcere sotto stretta sorveglianza, al fine di non ritrasformare il carcere in un “locale di ‘ndrangheta” a tutti gli effetti. Diverse sono le contestazioni mosse con riferimento a numerose minacce, anche di morte, che Accorinti (detenuto a Vibo nel 2017) avrebbe rivolto agli altri detenuti nel carcere di Vibo.
Qualcuno di loro, pur di non ritornare in cella con Accorinti, ha preferito restare rinchiuso in isolamento mentre altri sarebbero stati picchiati o pesantemente rimproverati da Accorinti con il sostegno di Nicola Fusca di Cessaniti, Luigi Zuliani di Piscopio e Francesco Gasparro di San Gregorio d’Ippona.