Il gran giorno di Pietro Giamborino sulla scena del maxiprocesso Rinascita Scott arriverà con 24 ore di ritardo. L’udienza di ieri dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia (aula bunker di Lamezia Terme), infatti, avrebbe dovuto includere anche l’esame dell’ex consigliere regionale sotto accusa per associazione mafiosa (riqualificata dal Riesame in concorso esterno) e corruzione elettorale, ma l’audizione in aula del capitano dei carabinieri Gianluca Lagumina, in servizio al Ros centrale, si è protratta più del previsto: ben otto ore al netto di 45 minuti di break, il che ha suggerito ai giudici di rinviare l’appuntamento con uno degli imputati eccellenti del processo. Prima, però, si dovrà procedere con il controesame dell’ufficiale del Ros, ovvero l’investigatore che nell’ambito dell’inchiesta si è occupato più di altri del politico 62enne originario di Piscopio.

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Rispondendo alle domande del pm Andrea Mancuso, Lagumina ha ripercorso una parte delle indagini eseguite sul conto di Pietro Giamborino, i cui pilastri sono rappresentati dalle dichiarazioni rilasciate sul suo conto tra il 2015 e il 2016 da due collaboratori di giustizia, Andrea Mantella e Raffaele Moscato. «Uomo d’onore della vecchia ‘ndrangheta di Piscopio» lo definiva Mantella, riconducendo le sue fortune elettorali all’appoggio ricevuto nel tempo non solo dal clan dei Piscopisani, ma da un po’ tutta la criminalità vibonese. Il testimone era chiamato a riferire sui riscontri investigativi associati a questa e altre dichiarazioni e lo ha fatto richiamando una serie di intercettazioni provenienti anche da altri procedimenti penali del passato.

Pietro Giamborino, infatti, era stato già sfiorato da sospetti di contiguità mafiose in inchieste poi archiviate. Ciò anche in virtù delle sue parentele con presunti esponenti di spicco del clan dei Piscopisani.

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