L’avvocato Contestabile apre la sua discussione sull’ex parlamentare e punta sulle crepe nel narrato dei pentiti. Stamani in aula anche i penalisti Rotundo, Barillaro, Miceli, Spigarelli, Marchese e Greco
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La discussione al maxiprocesso Rinascita Scott entra nel vivo, trattando le posizioni chiave: presunti capi promotori, concorrenti esterni in seno agli apparati politico-istituzionali, nel mondo dell’imprenditoria e della società civile. È stato l’avvocato Guido Contestabile, già nell’udienza di ieri nell’aula bunker di Lamezia Terme, ad aprire l’arringa per l’imputato Giancarlo Pittelli, l’ex parlamentare della Repubblica e importante penalista calabrese accusato di essere una sorta di Giano bifronte tra istituzioni e ‘ndrangheta, per il quale l’ufficio guidato dal procuratore Nicola Gratteri ha richiesto diciassette anni di pena. L’intervento, che si è interrotto e proseguirà nelle prossime udienze, costituisce il prologo delle conclusioni che nel mese di agosto saranno tratte invece dal codifensore di Pittelli, l’avvocato Salvatore Staiano.
L’arringa per Pittelli
Contestabile ha destrutturato in chiave difensiva, nella sua prolusione, le accuse dei pentiti, in particolare riguardo la presunta capacità di Pittelli di aggiustare i processi: da un lato, dunque, le nette affermazioni del collaboratore principe, Andrea Mantella, e a ruota, tutti gli altri, compresi quelli più datati; dall’altro, invece, lo svolgimento e l’esito dei procedimenti citati, che – ha spiegato il penalista – smentiscono in radice l’assunto accusatorio. Contestabile si è soffermato, inoltre, sul nugolo di ombre ed elementi probatori addensati dai pm sui rapporti tra l’imputato e quelli che, con la sua viva voce, ha indicato come i più potenti boss della ‘ndrangheta (Luigi Mancuso, presunto capo del Crimine di Vibo Valentia, e Pino Piromalli detto Facciazza, dell’omonimo casato di Gioia Tauro). Quindi il legame tra Pittelli e l’imprenditore Rocco Delfino. Rapporti, secondo la difesa, rimasti nell’alveo del mandato difensivo e della liceità.
Francesco Cracolici e Filippo Fiaré
Stamani, invece, a girandola è stata inaugurata dall’avvocato Sergio Rotundo, difensore di Francesco Cracolici (figlio e nipote dei defunti boss di Filogaso e Maierato Alfredo e Raffaele Cracolici, assassinati nel 2002 e nel 2004) e del presunto capomafia di San Gregorio d’Ippona Filippo Fiaré, fratello del defunto superboss Rosario Fiaré. Riguardo Cracolici, difeso unitamente all’avvocato Giorgia Greco, l’avvocato Rotundo si è concentrato preliminarmente sulle incongruenze del narrato dei collaboratori di giustizia, iniziando da Francesco Costantino, già intraneo alle dinamiche del clan a cui i Bonavota strapparono il potere in un’area cuscinetto tra l’Angitolano e le Preserre, oltre che sull’esito di indagini e processi precedenti a Rinascita Scott.
Per il presunto erede dei Cracolici, nei confronti del quale i pm hanno chiesto vent’anni di pena, il suo difensore ha chiesto l’assoluzione piena. Stessa sentenza, quella richiesta per Filippo Fiaré (vent’anni la richiesta di condanna della Procura), «l’assente di questo processo, per il quale ci aspettavamo una richiesta di assoluzione dall’ufficio di Procura», ha detto l’avvocato Rotundo. Ogni elemento addotto dall’accusa, ha aggiunto il penalista, iniziando dal narrato dei collaboratori, fa riferimento ad un periodo coperto da altri giudicati, iniziando dal processo Rima, che lo ha condannato per la sua partecipazione all’associazione mafiosa egemone a San Gregorio d’Ippona fino al 2005, fino al più recente pronunciamento assolutorio nel procedimento Dedalo-Petrolmafie.
Giuseppe Fortuna (classe ’77)
A seguire l’avvocato Tiziana Barillaro, nell’interesse di Giuseppe Fortuna (classe ’77), ritenuto dai collaboratori di giustizia e dall’accusa figura vicinissima all’ex superlatitante e presunto capo del clan di Sant’Onofrio Pasquale Bonavota. Imprenditore edile, già amico fraterno di Bartolomeo Arena (elemento di spicco della ‘ndrangheta vibonese poi passato tra le fila dei pentiti), per il suo difensore sarebbe estraneo a dinamiche mafiose, permanendo d’attualità l’eredità lasciata dallo storico processo Uova del drago, che – ha spiegato la penalista – nulla restituisce in relazione alla partecipazione dell’imputato all’associazione mafiosa. L’avvocato Barillaro ne ha ricostruito la storia da imprenditore, richiamando il contenuto dell’esame reso dall’imputato. Ha indicato come «prive di tenuta» le dichiarazioni dei pentiti (indicando le incongruenze tra il propalato di Andrea Mantella e quello di Bartolomeo Arena che, dice, «Giuseppe Fortuna era intraneo ai Bonavota ma non era loro affiliato») e ha presentato come prove a discarico le documentazioni dell’impresa agli atti del processo che invece l’accusa presenta come elementi a carico. A fronte di una richiesta di condanna pari a ventiquattro anni, l’avvocato Barillaro ha invocato l’assoluzione per il suo assistito perché il fatto non sussiste.
Agostino Papaianni e il figlio
Impegnative conclusioni anche per l’avvocato Michelangelo Miceli, difensore di Agostino Papaianni (considerato dall’accusa come una delle figure di maggiore spessore criminale della Costa degli dei, federato ai Mancuso) e del figlio di questi, Giuseppe. I pm avevano invocato pene per trenta e dieci anni di carcere per i due imputati. L’avvocato Miceli ha concluso anche per Domenico Cugliari detto “Micu ‘i Mela”, zio dei fratelli Bonavota, ritenuto una sorta di mentore per i giovani padrini del clan di Sant’Onofrio, e per il figlio Giuseppe, per i quale i pm hanno richiesto rispettivamente trenta e diciassette anni di reclusione. I due Curgliari sono assistiti anche dall’avvocato Leopoldo Marchese. Per quanto attiene Agostino Papaianni, conclusioni per corroborate dall’arringa del codifensore Valerio Spigarelli (che si è concentrato su ulteriori profili di carattere giuridico tesi a confortare l’assunto del ne bis in idem), l’avvocato Miceli ha sostenuto come si sia in presenza di contestazioni già oggetto di più giudicati assolutori, in particolare Dinasty e Black money, le cui contestazioni – ha spiegato il penalista – sono «speculari, gemelle», rispetto a quelle formulate nel maxiprocesso Rinascita Scott. Quanto a Giuseppe Papaianni, invece, già il gip – in relazione alle due ipotesi estorsive oggetto di imputazione – aveva rigettato la richiesta di misura cautelare per carenza di gravità indiziaria.
Domenico Cugliari
«Più articolata che complessa», ha quindi riferito l’avvocato Miceli, è la posizione di Domenico Cugliari (classe ’59), il quale, fino ad oggi, ha riferito il difensore, ha incassato assoluzioni e archiviazioni nei procedimenti che hanno investito il clan Bonavota. La sua posizione nel maxiprocesso, in sostanza, si basa sul dichiarato dei collaboratori degli ultimi trent’anni, ma – a parere del difensore – nulla aggiungono rispetto al materiale già oggetto di precedenti sentenze. Quanto alla posizione di Giuseppe Cugliari, invece, l’avvocato Miceli ha ribadito come già la Cassazione, in sede cautelare, abbia statuito l’inesistenza della partecipazione associativa, rimarcando come i contatti con il padre siano giustificati esclusivamente dal rapporto di parentela. A latere, la discussione per altri due assistiti la cui posizione processuale è di minore gravità, ovvero Daniel Zinnà e Orsola Ventrice, cognata di Domenico Cugliari (classe ’59). Per tutti i suoi assistiti, l’avvocato Miceli ha chiesto sentenza di piena assoluzione.
Le altre quattro posizioni
L’avvocato Leopoldo Marchese, dal canto suo, ha tracciato le conclusioni per quattro dei suoi assistiti. Ha esordito sulla posizione di Domenico Cugliari alias Micu ‘i Mela, spiegando come il dichiarato dei collaboratori di giustizia, in particolare quello di Raffaele Moscato e Andrea Mantella sia «inconsistente, generico e comunque riscontrato negativamente dalle attività investigative della polizia giudiziaria». Quanto a Giuseppe Cugliari, figlio di Domenico, l’avvocato Marchese ha richiamato i pronunciamenti favorevoli alla difesa in fase cautelare, sia in Cassazione che in sede di rinvio al Riesame. Riguardo invece la posizione di Giuseppe Mangone (per lui i pm hanno richiesto diciotto anni di pena), ha evidenziato come l’assunto accusatorio sia «insufficiente a dimostrare la partecipazione dello stesso all’associazione mafiosa così come contestata, con particolare riferimento alla locale di Mileto». Infine, il penalista ha concluso su Francesco La Rosa, detto “il Bimbo”, accusato nel maxiprocesso di violenza privata aggravata dalla mafiosità (per il quale sono stati chiesti tre anni di reclusione), sostenendo come nel corso dell’istruttoria dibattimentale sia intervenuta la legge Cartabia, che ha reso il reato contestato perseguibile solo a querela di parte. In questo la parte lesa non aveva adito l’autorità giudiziaria e, pertanto, la difesa aveva già avanzato richiesta di improcedibilità, rigettata dal Tribunale sul presupposto che l’associazione mafiosa fosse equiparata ad una associazione segreta. Al di là dei profili di carattere tecnico-giuridico, il penalista è entrato anche nel merito del fatto contestato (in sostanza un «una scenata di gelosia», dell’imputato nei confronti della parte lesa), affermando che il reato contestato è completamente mancante nella sua struttura. Pertanto, anche per La Rosa, l’avvocato Marchese ha formulato richiesta di assoluzione.
La conclusione su Cracolici
L’udienza si è conclusa con l’arringa dell’avvocato Giorgia Greco, a beneficio dell’imputato Francesco Cracolici, lo stesso per il quale il codifensore Sergio Rotundo aveva inaugurato la giornata. La penalista ha spiegato come non si possa contestare la partecipazione ad un’associazione mafiosa che non esiste, ovvero quella di Filogaso, perché «non riconosciuta ad alcun livello, tanto più da Polsi». L’avvocato Greco ha inoltre evidenziato come a carico del suo assistito, in partica, esista solo la prova dichiarativa dei collaboratori di giustizia, cinque in particolare (Francesco Costantino, Andrea Mantella, Bartolomeo Arena, Emanuele Mancuso e Giuseppe Giampà), «due dei quali chiariscono addirittura di non conoscerlo personalmente». Il più importante in relazione alla posizione di Cracolici, Costantino, che però, «quanto circostanzia in relazione alle vicende di sua conoscenza riferisce circostanze smentite nei fatti». Pertanto, l’avvocato Greco, che ha rilevato come da «esponente della ‘ndrina di Filogaso, l’imputato per l’accusa divenga alla fine del processo solo uno “vicino al clan Mancuso”», per Francesco Cracolici ha rinnovato la richiesta di assoluzione.