«Di ’na mangiata ccani girau a tarantella». Pasquale Alessandro Megna, collaboratore di giustizia, riporta la frase con cui suo padre avrebbe certificato la trasformazione di un pranzo tra amici in un summit mafioso.

Location: hotel Cliffs, un albergo di Joppolo che – secondo il pentito – sarebbe stato sotto il controllo di un pezzo della ’ndrangheta del Vibonese. «È stata fatta una mangiata con le famiglie: come fosse un pranzo di Pasquetta, ma non era Pasquetta, il Cliffs in quel periodo era chiuso», dice Megna. Che aggiunge: «Poi questo pranzo si è trasformato in una riunione, perché zio Luigi (Mancuso, ndr) si appartava prima con uno, poi un altro e stava a parlare per delle ore». A quel punto il padre di Megna capisce che la giornata è diventata qualcos’altro.

A capotavola c’è Luigi Mancuso, il boss di Limbadi. A parte il capoclan, Megna cita «Demetrio Putortì, il dottore Salvatore Rizzo, Pasquale Gallone, Celini di Rosarno, Turi “u diavulu” di Rosarno, Agostino Redi, un certo Artusa di Vibo» e poi gente con cognomi come Pesce che a certe latitudini sono spie di lignaggio mafioso.

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L’interrogatorio del collaboratore di giustizia risale al 3 aprile 2023: la Dda di Catanzaro lo considera un passaggio chiave per ribaltare l’assoluzione di Salvatore Rizzo, ex sindaco di Nicotera uscito indenne dal processo di primo grado Rinascita Scott. Rizzo avrebbe partecipato a quella che non era una semplice occasione conviviale in compagnia del boss di Limbadi. Non una mangiata ma una «tarantella» in cui il capoclan si sarebbe intrattenuto a parlare con i commensali: un summit travestito da pranzo. I magistrati considerano l'episodio una spia dei rapporti pericolosi tra l'ex primo cittadino del centro vibonese e la potente cosca. 

Per l’accusa, Rizzo avrebbe aiutato il boss Luigi Mancuso nella fase in cui si era reso irreperibile ospitandolo in una casa situata proprio davanti alla caserma di Nicotera Marina. Una contestazione basata su un’intercettazione: «Poi ci siamo visti a casa vostra, insomma… i primi temi, ormai è da assai… ultimamente… perché la prima fase eravamo in confidenza buona… vado a trovarlo, quell’ultimo periodo… quando era già mezzo latitante… davanti la caserma di Nicotera… e Salvatore Rizzo». I giudici la considerano una frase «di dubbia interpretazione perché non si capisce cosa i parlatori volessero indicare facendo riferimento alla fase in cui Luigi Mancuso era già “mezzo latitante” e riuscivano ancora a vederlo». Non si potrebbe, cioè, escludere che Mancuso non fosse tecnicamente latitante ma sottoposto alla sorveglianza speciale.

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La vendita del villaggio Valtur di Nicotera sarebbe l’altra vicenda nella quale Rizzo sarebbe stato coinvolto. Anche in questo caso, gli elementi indiziari a carico dell’ex sindaco «denotano un coinvolgimento nelle trattative per l’acquisizione del villaggio da parte di Luigi Mancuso» ma «non raggiungono la necessaria soglia di rigore probatorio necessaria ai fini dell’emissione nei suoi confronti di una condanna per il delitto di partecipazione all’associazione mafiosa».

Sarebbe «altamente verosimile che Salvatore Rizzo fosse un delegato di Mancuso» ma si sarebbe limitato a riferire all’avvocato Giancarlo Pittelli della sussistenza di una pregressa offerta irrevocabile di acquisto (…) comunque troppo poco per potere ritenere integrata una condotta di partecipazione o, quantomeno, di concorso esterno». L’ex sindaco sarebbe vicino ad ambienti criminali e avrebbe tenuto «una condotta poco trasparente che andava approfondita in sede di istruttoria dibattimentale ma che non appare sufficiente a individuare, oltre ogni ragionevole dubbio, la sussistenza del reato contestato».

Per i magistrati antimafia, i verbali di Megna possono superare i dubbi dei giudici di primo grado. Oltre alla mangiata all’hotel Cliffs, molto ruota attorno alla latitanza di Marcello Pesce a Nicotera. Ancora il pentito: «Marcello mi disse che poi, che tramite Pasquale Gallone e Salvatore Rizzo, gli avevano trovato una casa sul lungomare di Nicotera Marina». Al termine di quell’intermezzo vibonese nella latitanza del boss di Rosarno, Rizzo ritorna – sempre nei racconti del pentito –: «Accompagnai Marcello fino a dopo il bivio della Valtur, sulla strada per San Ferdinando: all’incontro c’erano 6-7 macchine e ricordo che c’era una jeep Mercedes che ritengo fosse la macchina di Salvatore Rizzo. Marcello Pesce salì su una Panda, ma c’erano altre macchine. Dopo 4 giorni vennero a prendersi le valigie e gliele consegnò mio padre: non so dire però a chi le abbia consegnate. Il giorno dopo la consegna di queste valigie Marcello Pesce venne arrestato. Poi Pasquale Gallone iniziò a dire che nelle valigie le forze di polizia avrebbero messo qualche localizzatore».

Megna dice di aver notato l’auto di Rizzo «perché è del mio stesso paese. Inoltre è un tipo di macchina di cui ce ne sono poche». Di più: «Sul conto di Rizzo posso aggiungere che fu lui a trovare la casa a Marcello Pesce per la sua latitanza. (…) Marcello Pesce mi parlava di Salvatore Rizzo come di una persona con cui aveva un rapporto di parentela, dicendomi che Rizzo era una persona con cui si rispettava e che lo trattava bene».

Dei verbali di Megna, considerati centrali dai magistrati della Dda di Catanzaro, viene chiesta l’acquisizione. L’antimafia chiede la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sulla posizione dell’ex sindaco di Nicotera: l’accusa ritiene che vi siano nuove prove capaci di dimostrare i legami tra Rizzo e il clan Mancuso. In primo grado l’imputato è stato assolto per non aver commesso il fatto.

Rinascita Scott, la difesa dell’ex sindaco di Nicotera Rizzo: «Non ci sono nuove prove a suo carico»

Riceviamo e pubblichiamo dall’avvocato Domenico Ceravolo, difensore di Salvatore Rizzo in riferimento all’articolo Rinascita Scott, le nuove accuse della Dda di Catanzaro all’ex sindaco di Nicotera Rizzo: i verbali del pentito Megna entrano nel processo.


Si comprende che, ad attività Giudiziaria ferma per ferie, qualcosa bisogna pur scrivere.
Se il cronista avesse dedicato più tempo alla lettura degli atti processuali (ma anche allo stesso atto di appello del pm) si sarebbe accorto che gli episodi “nuovi” propalati da tale Megna, sono stati trattati abbondantemente dalla pubblica accusa già nel primo grado del processo “Rinascita” ma, evidentemente, non sono stati ritenuti di rilievo dal Tribunale, al punto da aver rigettato la richiesta di sentire il collaboratore. 
Al giornalista sarebbe bastato riflettere su quanto da egli stesso annotato e cioè che le dichiarazioni del collaboratore risalgono all'aprile del 2023, sette mesi prima della assoluzione del dottore Rizzo. Quindi, nulla di nuovo all'orizzonte di un nuovo giudizio, ma solo episodi oramai usurati dal tempo, contestati in primo grado, con la consegna al Tribunale, da parte della difesa, della prova del contrario su snodi dichiarativi importanti del Megna. 
Che, dunque, l’accusa ritenga che vi siano nuove prove capaci di dimostrare i legami tra Rizzo e componenti di famiglie condannati per reati associativi, appare una deduzione fuor di luogo e serve solo ad infangare la dignità di chi ha subito un processo durato anni per raggiungere una assoluzione filtrata da una attività istruttoria stringente quanto approfondita. Vogliate prenderne atto e, dopo il necessario approfondimento, apportare le dovute specificazioni spiegando che non vi sono nuove prove a carico di Rizzo e che le presunte nuove prove non sono entrate ancora in alcun processo a carico di Rizzo.

Accogliamo la precisazione dell’avvocato Ceravolo a cui certamente non sfuggirà che la richiesta di escussione del collaboratore di giustizia Pasquale Alessandro Megna avanzata dalla Dda di Catanzaro per il processo di appello costituisce certamente un elemento di novità. Non ci siamo inventati nulla: è, d’altra parte, lo stesso appello dei magistrati antimafia a chiedere di rinnovare l’istruttoria dibattimentale e «ammettere la nuova prova dichiarativa», sia con riferimento all’escussione del collaboratore che di due militari del Gico della Guardia di finanza. (ppp