Nell'aula bunker di Lamezia Terme continua la deposizione del collaboratore di giustizia: «Dopo il pentimento di Mantella c’era chi non dormiva più a casa»
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«Io sapevo anche il nome dell’operazione che sarebbe scattata. Sapevo che si sarebbe chiamata Rinascita, me lo disse Mario De Rito. Nell’ambiente si sapeva questo, ma non si sapeva altro. Non si sapeva né chi, né quando sarebbe stato arrestato». Cappellino scuro in testa, dal sito riservato prosegue l’esame del collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena.
Replica al pm Antonio De Bernardo, che chiede di chiarire ancora meglio le sue conoscenze sul clan Bonavota. Arena, così, conferma che l’approdo del procuratore Nicola Gratteri alla guida della Procura di Catanzaro avrebbe determinato una chiusura delle falle negli uffici giudiziari ed investigativi che, negli anni precedenti, conferma il collaboratore, avrebbero favorito la circolazione di notizie riservate sulle indagini in corso e le retate delle forze antimafia. «Che ci sarebbe stata l’operazione si sapeva perché era scontato, perché era noto ormai che Andrea Mantella aveva iniziato a collaborare con la giustizia – spiega il dichiarante –. Alcuni sono sfuggiti alla cattura perché da tempo non dormivano più a casa, perché se l’aspettavano una grossa operazione».
Il cuore della deposizione, come anticipato, si concentra sul clan Bonavota, in continuità con l’esame effettuato, nelle precedenti udienze, dal pm Andrea Mancuso. Bartolomeo Arena spiega le ramificazioni al Nord del clan di Sant’Onofrio e all’influenza esercitata in Piemonte da Salvatore Arone ed in Liguria da Onofrio Garcea. «Avevano rapporti ad alti livelli…». Per esempio «con gli Ursini», grazie ai quali i Bonavota sarebbero stati attivi anche negli affari legati alle «macchinette». Slot machine e non solo, secondo il collaboratore di giustizia: i business criminali del clan guidato dai fratelli Pasquale (attualmente latitante) e Domenico (detenuto) avrebbero abbracciato dal narcotraffico fino agli investimenti nei carburanti.
La pressione delle forze dell’ordine su Sant’Onofrio, avrebbero indotto però qualcuno a ipotizzare un allontanamento della Calabria. Arena fa riferimento a Domenico Cugliari, alias “Micu ‘i Mela”, «fratello della madre dei fratelli Bonavota» ed indicato come figura apicale della potente cosca vibonese. Aveva subito, ha detto nel corso dell’esame, soprattutto una serie di aggressioni patrimoniali che lo avrebbero indotto a «pensare di cambiare aria, questo per assicurare un futuro ai suoi figli».
Il pm De Bernardo chiede approfondimenti anche sui Cracolici, clan un tempo egemone su Filogaso e Maierato e poi spazzato attraverso le armi dagli stessi Bonavota. Spiega, Arena, come l’omicidio di Alfredo Cracolici, consumato nel 2002 a Vallelonga, doveva essere vendicato per volontà del fratello Raffaele. I propositi di rappresaglia, però, rimasero tali e anche Raffaele, nel 2004, fu assassinato. Nonostante la decapitazione del clan, però, e la sostanziale perdita del controllo mafioso sulla zona industriale di Maierato, i Cracolici avrebbero comunque mantenuto una certa influenza su Filogaso («grazie a Francesco, figlio di Alfredo, che di fatto è l’unico azionista rimasto») e la stessa Maierato («grazie a Domenico, figlio di Raffaele, che avrebbe mantenuto la rete di relazione della sua famiglia»).