«Il Picciotto non fu ucciso perché era gay. E poi io che lo conoscevo bene, da quando ero bambino, so che non era gay, semmai era bisessuale, perché più volte l’ho accompagnato personalmente da donne… Il Picciotto fu ucciso perché si aveva paura che potesse cantarsela. Fu ucciso per volere di suo cugino Andrea Mantella ed è morto proprio per l’affetto che aveva per Andrea».

Omicidio Gancitano, la versione di Mantella

Il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena riscrive - in una parte cruciale, quella del movente - la storia dell’omicidio di Filippo Gancitano, alias il Picciotto, risucchiato dalla lupara bianca il 27 gennaio del 2002. Lo stesso Mantella, reo confesso della fase di pianificazione, sin dalla decisione di saltare il fosso aveva chiamato in causa, quali mandanti, i vertici del clan Lo Bianco - che, aveva messo a verbale - decisero che Gancitano andava eliminato perché «omosessuale». «La città era piena» di questa voce e ciò divenne la causa - a dire di Mantella - di una condanna a morte senza appello, perché la ‘ndrangheta aveva delle regole e perché bisognava «dare conto a San Luca», che non accettava gay tra gli affiliati. In realtà anche Mantella aveva ipotizzato che ci potesse essere anche il timore di una collaborazione con la giustizia dello stesso Gangitano dietro un ordine ricevuto e poi trasmesso, ma aveva riferito al pool di Gratteri di aver provato a dissuadere invano i capi della cosca.

Omicidio Gancitano, la versione di Arena

Arena, invece, deponendo all’ultima udienza del maxiprocesso Rinascita Scott, su domanda del pm Antonio De Bernardo, attribuisce la maggiore responsabilità, per quanto appreso in particolare «da Francesco Antonio Pardea», proprio a Mantella che «se l’è “mangiato” il Picciotto». Il racconto del giovane pentito è dettagliato. Inizia dal «febbraio del 1999». Spiega: «Io ero ai domiciliari e Gancitano venne a trovarmi dopo che aveva lasciato il carcere per un permesso di due o tre giorni. Mi disse che in carcere aveva fatto amicizia con gli zingari e che economicamente se la passava male. Mi disse, sorridendo, che se le cose non fossero cambiate se la sarebbe cantata. Io gli risposi che certe cose non si dicono neppure per scherzo. Si è messo a ridere ed è finita lì».

Omicidio Gancitano, l’altro movente

Successivamente, però, negli ambienti della criminalità organizzata sarebbe ventilata la voce di un suo possibile pentimento «ma non accadde nulla». Circolava, però, anche un’altra diceria: «Si diceva che fosse omosessuale, ma io non ci credevo. Intanto perché aveva relazioni con donne, che non erano granché ma sempre donne erano. E poi perché questo amico col quale avrebbe avuto una relazione aveva tutte le ragazze che voleva. Con questo facevano reati, rapine, droga, crimini. Poi so che è andato via. È diventato avvocato, si è sposato, ha avuto figli, credo che difenda anche qualcuno in Rinascita. Io non ci ho mai creduto. Il fatto che era gay non era vero. E poi non è vero che la ‘ndrangheta uccide i gay, quanti gay ci sono nella malavita di Vibo? E non è mai stato ammazzato nessuno. Vero è che il Picciotto ne aveva combinate tante e anche i Lo Bianco ed i Barba avevano motivo di temere il suo pentimento».

Un primo piano per l'omicidio Gancitano

Per Arena, però, c’è di più. Nel periodo antecedente la lupara bianca, l’attuale collaboratore, assieme al cugino Giuseppe Pugliese Carchedi, poi ucciso il 17 agosto del 2006, si sarebbe recato «per due mesi di continuo» in ospedale a rendere visita ad Andrea Mantella, dove si trovava ricoverato. In quel periodo lo stesso Pugliese Carchedi «venne da me - spiega Arena - e mi disse “Accompagnami al Carmine che gli buttiamo due colpi di fucile al Picciotto, dobbiamo fargli un favore ad Andrea”. Io gli dissi “Ma sei pazzo? Il Picciotto?” e così mi rifiutai».

Omicidio Gancitano, Arena: «Non lo troverete mai»

Con Mantella - dice Arena per averlo appreso dalla viva voce della vittima - Gancitano sarebbe entrato in contrasto tempo prima («Pippo aveva sofferto molto per questo») ma, dopo l’uscita dal carcere i due si erano riuniti. Si arriva, quindi, al 2002: «So che è stato attirato con l’inganno in una stalla e che Francesco Scrugli lo ha ammazzato a colpi di fucile». Poi «io sapevo che il corpo era stato cementificato», ma in seguito apprese da Francesco Antonio Pardea che era stato seppellito. «Il corpo non lo troverete mai – dice Bartolomeo Arena – perché neppure Andrea Mantella sa dov’è. Il corpo è stato spostato. Quando si diffuse la notizia che Andrea aveva iniziato a collaborare fu il fratello, Vincenzo Mantella, a spostarlo. Solo lui - sostiene Bartolomeo Arena - sa dove si trova».

Omicidio Gancitano, Mantella principale mandante?

In pratica, se sulla fase di pianificazione ed esecuzione le versioni dei due collaboratori sono sovrapponibili, per quanto attiene il movente risultano nettamente divergenti. Mentre di fatto Arena attribuisce – seppur sulla base di confidenze ricevute de relato - ad Andrea Mantella la principale responsabilità di essere il mandante della lupara bianca, diventa - sulla scorta delle sue dichiarazioni - più evanescente il ruolo dei vertici del clan Lo Bianco-Barba, che, essenzialmente sulla base delle rivelazioni dello stesso Mantella, rispondono di quell’agghiacciante omicidio davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro. Domani sarà completato l’esame di Arena al maxiprocesso in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme, quindi inizierà un controesame che si annuncia tanto lungo quanto incandescente.