In aula continua a deporre il carabiniere Alex Russano. L’immobile della mafia edificato su antica vestigia romane: ecco come Ugo Bellantoni spianò la strada a Giamborino con il soprintendente Patamia
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Lo chiamava «don Ugo». E furono numerosi i contatti, nel 2016 in particolare, che Giovanni Giamborino, presunto factotum del superboss Luigi Mancuso, ebbe con lui: Ugo Bellantoni, figura di primissimo piano della massoneria, Gran maestro onorario del Grande Oriente d’Italia e già capo dell’Ufficio tecnico del comune di Vibo Valentia, che - conclude il Ros di Catanzaro, in una delle informative cardine agli atti della Procura antimafia di Catanzaro - «si metterà al servizio di Giovanni Giamborino, consapevole della caratura criminale di quest’ultimo e della cosca Mancuso».
Dei rapporti tra Giamborino ed il potente venerabile parla, al maxiprocesso Rinascita Scott, il maresciallo Alex Russano, ovvero uno degli 007 del reparto d’élite dell’Arma tra i protagonisti della colossale inchiesta, dalla quale la posizione dello stesso Bellantoni – è bene precisare – è stata stralciata dal pool di Nicola Gratteri all’atto della conclusione delle indagini preliminari. Giovanni Giamborino, invece, è imputato nel maxiprocesso che si celebra con rito ordinario nell’aula bunker di Lamezia Terme.
Il Ros, in particolare, rileva come fosse stato proprio Bellantoni a riferire a Giamborino che il neo Soprintendente archeologico della Calabria, Salvatore Patamia, fosse un «fratellino», quindi un massone, e per questo in qualche modo – sintetizzano gli inquirenti – avvicinabile. Patamia (non indagato né imputato), emerse dalle indagini, assumeva una posizione chiave per il rilascio di un nulla osta necessario al completamento del progetto edilizio dello stesso presunto faccendiere di Luigi Mancuso, ovvero l’ormai noto immobile della mafia costruito nel cuore di Vibo Valentia, accanto al Cin Cin Bar, sopra i resti dell’antica Aurelia e altre vestigia di epoca romana.
Rispondendo alle domande del pm Anna Maria Frustaci, il maresciallo Russano descrive dettagliatamente soprattutto gli accadimenti, desunti dalle intercettazioni telefoniche e dai tabulati, risalenti al 23 maggio 2016, quando Giovanni Giamborino ed un suo amico partirono alla volta di Roccelletta di Borgia per ricevere, proprio da Patamia, la «firma del progetto», per come anticipatogli anche dal funzionario della Soprintendenza Fabrizio Sudano (non indagato).
L’appuntamento sarebbe stato organizzato grazie agli interventi di Ugo Bellantoni e «dell’ex presidente dell’Inps di Catanzaro» Filippo Bagnato (non indagato), ma per effetto di un malinteso – spiega il teste dell’accusa – il viaggio fu vano perché, in realtà, il Soprintendente avrebbe atteso Giamborino al Museo archeologico di Reggio Calabria anziché a Roccelletta di Borgia.
Una circostanza, l’errore sulla sede dell’incontro, che stride con un parallelismo tra «la precisione della massoneria e la precisione della “maffia” (con due F)» operata dallo stesso Giamborino in una intercettazione trattata, nel corso dell’esame, dall’investigatore del Ros: «Mi hanno preso l'appuntamento… Sì, avevo l'appuntamento alle quattro, ora me l'hanno preso e gli ha detto che si è spostato… Lo vedi quanto sono precisi la massoneria? La massoneria è come la maffia...». Giamborino, alla fine, il 27 maggio 2016, incontrerà, proprio a Reggio Calabria, il soprintendente Patamia e otterrà il nulla osta atteso.