Il collaboratore di giustizia nell'aula bunker di Lamezia Terme ha descritto il conflitto tra i Pardea e i Pugliese: le sparatorie, i soldi ad usura, le confidenze in carcere e le estorsioni
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Seconda giornata di deposizione per il collaboratore di giustizia di Vibo Valentia Gaetano Cannatà. Nell’aula bunker di Lamezia Terme, collegato, in videoconferenza, il collaboratore ha risposto alle domande del pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo.
«È stato Giuseppe Camillò a raccontarmi delle estorsioni a Vibo ai danni della Bartolini, di Corigliano e di Mirabello. Giuseppe Camillò faceva parte del clan dei Pardea guidato dal padre Domenico Camillò e da Antonio Macrì. Ne facevano parte anche Salvatore Morelli, Francesco Antonio Pardea, Luciano Macrì, Mommo Macrì e Bartolomeo Arena. Luciano Macrì, in ogni caso, durante lo stato di detenzione – ha affermato Cannatà – lamentava di essere stato abbandonato in carcere non ricevendo sostentamento economico dal proprio gruppo».
Le sparatorie e i contrasti a Vibo
Si è quindi passato a parlare dei contrasti fra le diverse articolazioni della ‘ndrangheta nella città di Vibo Valentia.
«Conoscevo Loris Palmisano – ha affermato Cannatà – perché abitava vicino al mio bar. Con lui aveva avuto degli attriti Domenico Camillò, figlio di Giuseppe Camillò, per via di una ragazza contesa. Si verificò così una sparatoria in cui rimasero feriti Domenico Camillò e Mirko La Grotteria, fratello di Daniele La Grotteria. Ad aprire il fuoco è stato Loris Palmisano. In risposta a tale episodio – ha continuato il collaboratore – so che Giuseppe Camillò, Francesco Antonio Pardea e Bartolomeo Arena hanno accoltellato Loris Palmisano».
Lo scontro con i Pugliese “Cassarola”
Secondo Gaetano Cannatà, il gruppo dei Pardea aveva dei forti attriti con la famiglia Pugliese, detti Cassarola. Tutto avrebbe avuto inizio con una discussione nel corso della quale Mommo Macrì aveva sparato ad un piede a Nazzareno Pugliese.
«Sono episodi che ho appreso in carcere da Luciano Macrì, Giuseppe Camillò, Daniele La Grotteria. In particolare era Giuseppe Camillò a parlare in carcere e si diceva che il gruppo Pardea era in contrasto con Rosario Pugliese, che veniva visto come un ostacolo alle loro mire espansionistiche su Vibo Valentia. Rosario Pugliese era uno che curava i propri affari – ha dichiarato Cannatà – senza dare conto a nessuno. Da lì la sparatoria al chiosco di Carmelo Pugliese, fratello di Rosario. Una sparatoria fatta da Mommo Macrì e Daniele La Grotteria, quest’ultimo vicino al gruppo dei Pardea detti Ranisi».
L'autista Morelli e l'usura
Ad elargire un prestito a Gaetano Cannatà sarebbe stato quindi anche «Danilo Mirabello, che faceva da autista a Salvatore Morelli, detto l’Americano, che era da poco uscito dal carcere e non aveva la patente. Danilo Mirabello era un cliente del mio bar e una volta nel 2014 ho chiesto soldi pure a lui – ha ricordato il collaboratore – che mi prestò infatti tremila euro. I soldi mi disse che provenivano da Domenico Rubino, altro appartenente al clan Lo Bianco, con il quale i contatti li manteneva Mirabello. Per il prestito di tremila euro ho pagato 600 euro di interessi al mese». Salvatore Morelli è stato invece indicato da Gaetano Camillò come fra i principali soggetti del gruppo dei Pardea che decideva le estorsioni da compiere.
Dediti all’usura, ad avviso di Gaetano Cannatà sarebbero stati a Vibo Valentia anche Giuseppe Barba, fratello di Vincenzo Barba detto Il Musichiere, e Salvatore Furlano «soggetto che apparteneva al clan Lo Bianco e che era dedito pure a reperire armi».
La deposizione di Gaetano Cannatà sta proseguendo con la sottoposizione degli album fotografici per i riconoscimenti dei personaggi dei clan Lo Bianco-Barba, Pardea e Pugliese.