Non solo contrasti fra i vibonesi ed i Mancuso di Limbadi, già negli anni ’80 alleati ai Fiarè di San Gregorio d’Ippona, ma anche fra gli stessi vibonesi. Nel racconto di Bartolomeo Arena – alla sua prima deposizione pubblica nel processo Rinascita Scott – hanno trovato spazio diversi episodi criminali utili a spiegare i rapporti conflittuali che, in un determinato lasso temporale, si sono sviluppati all’interno del “locale” di ‘ndrangheta di Vibo Valentia. 

Siamo nei primi anni ’80 quando, secondo Bartolomeo Arena, i Pardea, «Michele e Francesco Pardea, uccidono un ragazzo parente dei Franzè di Vibo». Non presentandosi Domenico Pardea a tre riunioni di fila del “locale” di ‘ndrangheta di Vibo Valentia, a succedergli alla guida della “società” mafiosa di Vibo sarebbe stato Francesco Fortuna, detto Ciccio Pomodoro. «Con Francesco Fortuna – ha riferito Bartolomeo Arena – si schierarono Enzo Barba, Carmelo Lo Bianco detto Piccinni, Carmelo Lo Bianco detto Sicarro, Raffaele Franzè detto Lo Svizzero, ed i D’Andrea, Pino e Carmelo D’Andrea».

L’eliminazione di Cecchino Pugliese e la vendetta

Siamo nel 1983 e questa volta a scontrarsi sono i Pardea ed i Pugliese, detti Cassarola, anche loro di Vibo Valentia. Sebbene minorenne, secondo Bartolomeo Arena, il 14enne Cecchino Pugliese, detto Cassarola, avrebbe umiliato Rosario Pardea, dicendogli pubblicamente che gli avrebbe sparato. «Così per ritorsione, Rosario Pardea si servì di Nicola Tambuscio per eliminare Cecchino Pugliese, fratello di Rosario Pugliese. Cecchino – ha spiegato Bartolomeo Arena – è stato portato a Cosenza e qui ucciso con il taglio della testa. In quel periodo Francesco Fortuna, detto Ciccio Pomodoro, si trovava latitante per aver ucciso nel 1981 nella piazza di San Gregorio d’Ippona Gregorio Gasparro, capo del clan di San Gregorio. Fortuna fu vittima di una tragedia, in quanto Pasquale Franzè, detto U Tarra, suo parente, aveva riferito a Francesco Fortuna che Gasparro gli aveva rubato gli animali. A fomentare Pasquale Franzè – ha riferito il collaboratore – sono stati anche Vincenzo Lo Bianco e Antonio Lo Bianco. Dopo l’omicidio di Pino Gasparro e la risposta dei Gasparro-Fiarè-Razionale con l’omicidio di Antonio Galati, cognato di Ciccio Pomodoro, Francesco Fortuna si diede alla latitanza, finita la quale venne arrestato e mandato nel carcere di Cosenza. Proprio dal carcere – ha sostenuto Bartolomeo Arena – Francesco Fortuna diede l’ordine a Rosario Pugliese e a Domenico Piromalli di uccidere Francescantonio Pardea per vendicare l’omicidio di Cecchino Pugliese, fratello di Rosario».

L’omicidio di Francesco Fortuna, Carmelo Lo Bianco e i Mancuso

È il 23 settembre 1988 quando a Pizzo Calabro, dove si trovava al soggiorno obbligato, viene ucciso Francesco Fortuna, detto Ciccio Pomodoro. «Dopo il suo omicidio – ha riferito Bartolomeo Arena – i Mancuso raggiungono i massimi livelli. Loro sono sempre stati alleati con i Pesce di Rosarno ed i Piromalli di Gioia Tauro, tanto che Luigi Mancuso prese le difese di Peppe Piromalli quando Saro Mammoliti ebbe l’ardire di sfidare in carcere proprio Piromalli. A Vibo dopo l’omicidio di Francesco Fortuna, a tenere il Buon Ordine della ‘ndrangheta di Vibo città è stato Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni».

La carriera criminale di Bartolomeo Arena

«Sino all’età di 12 anni frequentavo i ragazzi della Vibo-bene. Poi ho iniziato a frequentare Giuseppe Camillò e Luigi Vitrò che già erano addentrati nella ‘ndrangheta. A raccontarmi però come stavano le cose è stato Giuseppe Mantella che per me è come un fratello maggiore ed è poi morto in un incidente in moto. Lui era nel gruppo di Andrea Mantella e Francesco Scrugli. Ho fatto diversi danneggiamenti – ha ricordato Bartolomeo Arena – insieme a Luigi Vitrò. Mi sono legato poi a Nicola Lo Bianco, figlio di Carmelo Lo Bianco, detto Sicarro, e soprattutto ad Antonio Grillo, detto Totò Mazzeo. Ho chiesto proprio a Totò Mazzeo il permesso per essere affiliato alla ‘ndrangheta perché affiliandomi avrei saputo chi aveva ucciso mio padre. Venne così a trovarmi a casa mia Paolino Lo Bianco quando io ancora nulla sapevo del suo ruolo nell’omicidio di mio padre. Paolino Lo Bianco mi disse di andare da Enzo Barba il quale però mi scoraggiò e mi mandò da Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni, il quale a sua volta mi invitò ad andare da Raffaele Franzè, detto Lo Svizzero, e da lui finì da Bruno Barba. Alla fine Antonio Grillo, detto Totò Mazzeo, mi disse che ero troppo giovane per essere affiliato. Anche Andrea Mantella, che andai a trovare in ospedale dove si trovava ricoverato, mi sconsigliò l’affiliazione».

Il direttore di banca accoltellato a Vibo

Siamo nei primi anni ’90 e – a detta di Bartolomeo Arena – Ferruccio Bevilacqua e Paolino Lo Bianco avrebbero incaricato Antonio Grillo, detto Totò Mazzeo, di punire l’allora direttore della Bnl di Vibo poiché era inavvicinabile e non gli concedeva alcun fido. «Totò Mazzeo – ha spiegato il collaboratore – mi disse se me la sentivo di accoltellare il direttore della banca che era di Messina. Io iniziai così a seguirlo, ma questo direttore era molto furbo e si faceva accompagnare sino a casa, nel quartiere Affaccio di Vibo, da alcune persone. Un giorno mi sono appostato sotto casa sua, ho infilato una calzamaglia e mentre saliva le scale gli ho dato tre o quattro coltellate alla gambe. È l’episodio criminale – ha dichiarato Bartolomeo Arena – di cui mi vergogno di più, perché questo direttore di banca era solo uno che faceva il suo lavoro. Dopo tale episodio mi sono trasferito a Bologna, mentre prima a Vibo avevo iniziato a girare sempre con Rosario Pardea e Salvatore Tulosai che era a sua volta compare con Fortunato Mantino di Vibo Marina, specializzato nelle truffe alle assicurazioni».

Il legame con i Bonavota e la sparatoria in piazza Municipio

Bartolomeo Arena è quindi passato a raccontare altri episodi criminali, spiegando il suo legame con i Bonavota di Sant’Onofrio. «Mio grandissimo amico era divenuto Giuseppe Fortuna di Sant’Onofrio, fratello di Francesco Fortuna. In quel periodo io lavoravo in una gioielleria a Vibo dove venivano spesso a trovarmi Domenico Bonavota e altri di Sant’Onofrio i quali dovevano fare un regalo costoso a Copelli di Gioia Tauro, del clan Piromalli. Dopo Giuseppe Fortuna ho conosciuto Vincenzo Bonavota, padre di Domenico, Pasquale e Nicola Bonavota. Ho subito il fascino di Vincenzo Bonavota, un uomo costretto  fare una guerra – ha dichiarato Bartolomeo Arena – ma che io vedevo come una persona giusta, tanto che a casa mia io avevo solo la sua foto, quella di mio padre e quella di Francesco Fortuna, detto Ciccio Pomodoro. Successe che una volta ebbi una lite in piazza a Sant’Onofrio con Pino Greco. Gli tirai due schiaffi, anche perché mi aveva autorizzato a fare ciò Nicola Bonavota. Successivamente, però, dinanzi al fratello Pasquale che mi rimproverava per essermi permesso di venire sino a Sant’Onofrio ad alzare le mani, Nicola Bonavota negò tutto. A mettere pace è stato Vincenzo Bonavota. In seguito ho avuto una discussione per questo fatto con tutti i Greco in piazza Municipio, sotto l’istituto d’Arte a Vibo Valentia. Avevo risolto tutto quando uno dei Greco mi offese e così io tolsi la pistola  – ha spoegato Bartolomeo Arena – e iniziai a sparare. La scheggia di un proiettile ferì alla testa una ragazza di Paravati. Sono stato in un primo tempo accusato dalla Procura di Vibo di triplice tentato omicidio e per questo mi sono dato per sei mesi alla latitanza. Poi ho fatto altri sei mesi di arresti domiciliari e due anni con l’assistente sociale».