Battezzato solo nel 2016, ma il sangue che lo rese ’ndranghetista senza più ritorno lo aveva già versato cinque anni prima: 12 agosto 2011, Gallico di Reggio Calabria, l’omicidio di Giuseppe Canale; sei mesi dopo, 20 febbraio 2012, Stefanaconi (Vibo Valentia), l’agguato in cui fu freddato Giuseppe Matina. Poco più di un anno dopo il rituale in carcere, la decisione di collaborare con la giustizia: oggi Nicola Figliuzzi, originario di Sant’Angelo di Gerocarne e 31 anni che saranno compiuti solo il prossimo maggio, depone al maxiprocesso Rinascita Scott come teste della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, rispondendo alle domande del pm Annamaria Frustaci.

L’affiliazione

«Ho iniziato a collaborare con la giustizia il 15 novembre 2017, per cambiare vita e non commettere più reati», esordisce. Coinvolto nelle operazioni Gringia, Romanzo criminale e per l’omicidio Canale, Figliuzzi spiega di essere stato affiliato con il clan Loielo: «Mi sono autoaccusato di associazione mafiosa, omicidi e tentati omicidi». E ancora: «La mia affiliazione risale all’aprile 2016 con i Loielo nel carcere di Siano. Ero detenuto a Melfi, ma in quel periodo ero a Siano per le udienze dei processi Romanzo criminale e Gringia, assieme alla famiglia Patania di Stefanaconi».

Imputato anche per i tentati omicidi di Francesco Scrugli e Francesco Calafati e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, il pentito spiega: «Era il periodo di Pasqua, a Siano eravamo “tutti aperti” i detenuti per le festività. Eravamo al primo piano. Potevamo stare in socialità, in quel periodo, tutta la giornata, regolarmente autorizzati. La proposta venne da Giovanni e Cristian Loielo e da Giuseppe Salvatore Mancuso. Siamo andati nella cella 6 e lì c’è stato il rito, con una forbicetta della Chicco e bruciando un santino».
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