Il collaboratore ritorna sul delitto di Domenico Servello e la vendetta di Giuseppe Mancuso per poi rivelare ulteriori dettagli sui dissapori con il testimone di giustizia Scriva e i Soriano
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Dall’omicidio del padre ai contrasti con Giuseppe Scriva, già testimone di giustizia. Nel corso del controesame, Bartolomeo Arena è ritornato su alcuni argomenti trattati nel corso dell’escussione del pubblico ministero, arricchendo però il narrato con nuovi particolari.
Bartolomeo Arena e la morte del padre
Affrontando infatti la scomparsa del padre, Antonio Arena, detto Vartolo, il collaboratore ha affermato: «Avevano programmato di ucciderlo, era il 3 gennaio del 1985, perché l’astio verso mio padre era risalente ed aveva avuto inizio con il fatto che Domenico Servello, fratello di Servello Angiolino poi divenuto collaboratore di giustizia, referente di Peppe Mancuso, detto ‘Mbrogghjia, aveva sparato nella discoteca dell’Hotel 501 ferendo Fortuna Vincenzo e un Fiorillo di Vibo, di cui non ricordo il nome». Secondo Bartolomeo Arena, all’epoca Domenico Servello di Ionadi «era un soggetto legatissimo a Giuseppe Mancuso, detto “Mbrogghjia” (in foto), aveva sparato, ucciso e ferito tante persone al 501 Hotel e siccome questo ragazzo poi è scappato, prima era andato a trovare appoggio dai Tripodi ma non li trovò, poi andò a finire nelle campagne, nelle zone di Maropati dove erano influenti i Varone e i Napoli.
Siccome i Varone erano compari di Francesco Fortuna – ha spiegato il collaboratore – lo avvisarono che questo latitante era in quelle zone e mio padre e Francesco Fortuna partirono da Vibo per andare a prendere questo Servello e lo uccisero e da lì i primi dissapori seri con Giuseppe Mancuso».
Arena racconta i dissapori tra i clan vibonesi
Gli altri dissapori, secondo Bartolomeo Arena, sarebbero nati poiché il boss Giuseppe Mancuso di Limbadi avrebbe preteso dai vibonesi Antonio Arena e Francesco Fortuna la restituzione del corpo di Domenico Servello. «Mancuso voleva restituito il corpo, e mio nonno materno, che era il suocero di mio padre, cercava di mediare con Giuseppe Mancuso, in quella fase era più dalla parte di Giuseppe Mancuso che di mio padre e di Fortuna, perché lui cercava di mediare per fare avere il corpo, comunque il corpo non l’hanno avuto mai. Il ferito nella sparatoria del 501 – ha aggiunto il collaboratore – era Vincenzo Fortuna, detto Enzino u capu, ed era un ragazzo spinto che si andava a divertire al 501». Il 3 gennaio 1985, quindi, Antonio Arena sarebbe caduto in un tranello, recandosi disarmato ad un appuntamento con Giuseppe Mancuso che l’avrebbe così ucciso facendo poi a sua volta sparire il corpo.
E nel corso del controesame condotto dall’avvocato Mario Murone che Bartolomeo Arena racconta un ulteriore episodio che chiama in causa i Soriano di Pizzinni di Filandari e il testimone di giustizia Giuseppe Scriva, attuale imputato in Rinascita Scott.
Arena e i problemi con Scriva
«Ho avuto problemi con Scriva (in foto) negli anni novanta, però non mi conosceva. Questo Scriva era in società con i Soriano di Pizzinni in una discoteca che si chiamava all’epoca Rebus Invernale nella zona di Mesiano. In pratica siccome avevo avuto una discussione con dei ragazzi che ci lavoravano là dentro perché avevano fatto un pò i buffoncelli e non volevano farmi entrare senza biglietto ed a spalleggiarmi c’erano ragazzi di Limbadi, quando sono tornati a Vibo questi ragazzi li ho pestati in piazza Municipio. L’indomani sera è venuto questo Scriva – ricorda Bartolomeo Arena – per dirmi come mai avevo picchiato questi ragazzi, però non mi conosceva. Scriva non sapeva chi fossi io e mi diede una spinta, però sul viso me la diede, no? Allora io ho subito, reagendo, lo presi a calci, anzi,gli diedi pure una cinghiata. Quello che ci ha diviso quel giorno era Antonino Lo Bianco detto “Crapina”.
Arena e i rapporti con i Soriano
Poi Scriva è scappato con la sua Y10 ed è andato subito a chiamare i Soriano. All’epoca poi è salito a Vibo Roberto Soriano con tutti i suoi fratelli perché mi volevano praticamente picchiare. Incontrarono in prima battuta alcuni ragazzi ed ad uno addirittura gli chiesero dove abitassi. Questo ragazzo che adesso è morto gli disse che non glielo diceva nemmeno se lo ammazzavano: infatti l’hanno pestato a questo ragazzo. Poi veniva a passare Francesco Barba e i Soriano gli domandarono a lui e quando Francesco Barba apprese le mie generalità gli disse di andare a casa – ha spiegato Arena – che poi si sarebbe visto diversamente perché loro a me non mi potevano toccare».
Questo il resto del racconto di Bartolomeo Arena: «Poi lì è successo che ci sono state delle telefonate tra Roberto Soriano e Antonio Grillo, detto Totò Mazzeo (in foto), si sono pure litigati, perché Roberto Soriano voleva per forza picchiarmi sia a me e sia a Lorenzo Lo Bianco, figlio di Antonio Lo Bianco, perché pure lui aveva avuto altri problemi con loro e quindi successe che in pratica Antonio Grillo, detto Totò Mazzeo, mi disse: “Tieni questa pistola, mettitela in tasca, che se ci incontrano in piazza Municipio ci dobbiamo sparare”. Poi però lui disse: “Però glielo andiamo a dire prima a Vincenzo Barba” e mi ricordo – ha spiegato Bartolomeo Arena – che siamo andati a trovare Enzo Barba, che quel giorno era in compagnia di Carmelo Pugliese, detto Cassarola, perché spesso all’epoca gli portava la macchina lui e ci incontrammo là sopra al cimitero. Gli raccontammo tutto il fatto a Vincenzo Barba e Antonio Grillo era molto innervosito, però Vincenzo Barba diciamo lo zittì ad Antonio Grillo, anche perché era in posizione di supremazia nei confronti di Antonio Grillo e siccome l’appuntamento era in piazza Municipio andammo io, Antonio Grillo e Vincenzo Barba all’appuntamento e questo Carmelo Pugliese, Cassarola.
Mi ricordo – ha aggiunto Bartolomeo Arena – che questo Roberto Soriano con altri ragazzi del suo clan ci aspettavano proprio di fronte l’edicola di piazza Municipio, però quando si è avvicinato Vincenzo Barba, Roberto Soriano era molto calmo, calmo e pacato con lui, tant’è che la situazione la risolse subito Vincenzo Barba. Poi ci siamo stretti pure la mano e quando siamo stati soli con Antonio Grillo mi disse che tutta la reverenza che aveva nei confronti di Vincenzo Barba era data dal fatto che la messa per la sua investitura di capo società di Pizzinni l’aveva detta Vincenzo Barba su mandato di Giuseppe Mancuso detto “Mbrogghjia”».
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