Quando Alfonso Giordano fu chiamato a guidare la Corte d’Assise di Palermo per il maxiprocesso a Cosa nostra, aveva trentaquattro anni di magistratura alle spalle. Brigida Cavasino, che oggi presiede il maxiprocesso alla ’ndrangheta in corso all’aula bunker di Lamezia Terme, è alla sua prima vera esperienza in un Tribunale penale dopo il tirocinio a Roma. Giovane donna, presidente di un giovanissimo collegio giudicante di sole donne: a latere Claudia Caputo e Gilda Romano. Fosse la Sicilia di Rosario Livatino, sarebbe un collegio di «giudici ragazzini»: non nell’accezione attribuita a questa locuzione dall’allora presidente Francesco Cossiga, ma in senso nobile, il più nobile, invece.

Segnare la storia

Immaginate cosa possa significare, a trentacinque anni o poco più, decidere la colpevolezza o l’innocenza di più di trecento persone, processate tutte insieme; presiedere uno dei più grandi processi della storia giudiziaria italiana per il quale si mobilitano giornalisti e troupe di colossi dell’informazione da ogni continente; avere davanti un monumento della lotta al crimine organizzato come Nicola Gratteri a guidare un pool di pubblici ministeri preparati ed agguerriti; un esercito di avvocati determinati a dare battaglia udienza dopo udienza; misurarsi su questioni giuridiche di grande complessità.

Astensione e ricusazione

L’ultima è quella alla base dell’istanza di ricusazione che uno dei difensori, l’avvocato Diego Brancia, ha proposto alla Corte d’Appello di Catanzaro. La storia è semplice: la presidente Cavasino faceva parte, come la collega a latere Gilda Romano, del collegio che aveva pronunciato la sentenza di un procedimento collaterale al maxiprocesso Rinascita Scott. Le due donne magistrato hanno proposto istanza di astensione da Rinascita ma il presidente del Tribunale di Vibo Valentia l’ha respinta. Ora ci prova la difesa.

«Il nostro dovere – ha spiegato la presidente Cavasino nell’ultima udienza a Lamezia – è essere qui e andare avanti». In sostanza, a questo punto, sarà la Corte d’Appello a stabilire se, dopo Tiziana Macrì, ricusata per avere firmato un decreto autorizzativo delle intercettazioni nelle indagini preliminari, altre due giudici dovranno essere sostituite.  
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