La storia del termovalorizzatore appaltato all’inizio degli Anni 2000 e mai realizzato ha generato un contenzioso che secondo la Corte dei Conti si sarebbe potuto vincere: la convenzione era nulla e il collegio arbitrale privo di titoli. Nonostante ciò nel 2019 la Regione cominciò a pagare i “danni” alle imprese coinvolte
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Il collegio arbitrale era privo di titolo giuridico, la domanda era inammissibile e la convenzione e l’atto aggiuntivo invalidi. Già questo sarebbe stato sufficiente a neutralizzare la richiesta risarcitoria milionaria avanzata nel 2005 da Calabria Ambiente all’ufficio del commissario, all’epoca delegato dal Governo a superare l’emergenza rifiuti in Calabria.
Indennizzo milionario
L’epilogo, invece, è di tutt’altra natura, chiaramente sfavorevole alla Cittadella costretta a stipulare nel 2019 un accordo transattivo per il pagamento di un indennizzo milionario alla società che è infine riuscita a strappare quasi 40 milioni di euro, pur non avendone alcun titolo.
Quadro desolante
«Un quadro desolante di indifferenza e scarsa attenzione nei confronti dell’interesse pubblico» così la Procura della Corte dei Conti esemplifica il lungo iter che ha, infine, portato la Regione Calabria a soccombere in un giudizio che sarebbe stato agevolmente vinto con un minimo di diligenza e di attenzione in più. Nei fatti, il termovalorizzatore e gli impianti per il trattamento dei rifiuti nella provincia di Cosenza non sono mai stati realizzati ma nel giugno 2019 la Regione ha versato 21 milioni di euro a titolo di acconto e poi 4 milioni e mezzo ogni anno fino al 30 giugno 2024 alla Ati Foster Wheeler, al Consorzio Cecchini e alla Due Erre, poi confluite nella società di progetto Calabria Ambiente, assegnatarie dell’appalto.
Gli impianti per i rifiuti
Quest’ultima lamentando l’impossibilità di realizzare gli impianti di trattamento dei rifiuti a causa della reiterata variazione da parte dell’ufficio del commissario dei siti dove realizzarli e, quindi, chiedendo un ristoro dei danni di quasi 20 milioni di euro. Tuttavia, sotto il profilo formale non solo il collegio arbitrale non aveva titolo giuridico a decidere la controversia ma la convenzione e l’atto aggiuntivo all’epoca stipulato dall’ufficio del commissario erano invalidi perché sottoscritti da un responsabile totalmente privo dei poteri di rappresentanza. L’unico legittimato era il commissario straordinario che non poteva però delegare.
Richieste 12 volte superiori
Infine, la società aveva già esercitato il diritto di recesso parziale dall’obbligo di realizzare il termovalorizzatore con ciò non potendo più avanzare pretese risarcitorie oltre al rimborso forfettario. In realtà oltre a queste, la società Calabria Ambiente avrebbe inserito anche una richiesta di ristoro alla società Cecchini («sulla base di un accordo di cui la gestione commissariale era assolutamente estranea») dodici volte superiore a quella contrattualmente prevista per la mancata realizzazione del termovalorizzatore (14 milioni di euro).
Costi spropositati
Tutte circostanze finite nel 2006 in una segnalazione indirizzata alla Procura di Catanzaro. Il capo dipartimento della Protezione civile aveva, infatti, all’epoca evidenziato come tutti gli atti non fossero stati firmati dal commissario straordinario ma da un soggetto privo dei poteri di rappresentanza e addirittura che la convenzione presentasse «costi spropositati, pari a 250 miliardi di vecchie lire» mentre per realizzare il termovalorizzatore gemello a Gioia Tauro «ne erano bastati la metà».
Elevata probabilità di vittoria
Una causa con una elevatissima probabilità di vittoria, secondo la Procura della Corte dei Conti, e invece no. Gli impianti inizialmente previsti a Bisignano, a Castrovillari, ad Acquappesa, a Rende, a San Marco Argentano e il termovalorizzatore che avrebbero consentito di efficientare il sistema di trattamento e smaltimento dei rifiuti in Calabria non videro mai la luce per la strenua opposizione dei cittadini e delle amministrazioni locali.
Il commissario condannato
L’ufficio del commissario fu condannato ad un risarcimento del danno di 30 milioni di euro, laddove la società aveva chiesto solo 19 milioni nella domanda di arbitrato, «importo risarcitorio basato su presupposti del tutto erronei» secondo la Procura della Corte dei Conti che aggiunge «già tale considerazione sarebbe sufficiente ad evidenziare l’altissima probabilità di riforma in sede di Appello del lodo arbitrale».
La sospensione del lodo
Ricorso che nei fatti fu presentato ottenendo nel 2008 la sospensione cautelare del lodo. Tuttavia a partire dall’1 gennaio 2013 il commissariamento cessò e il dipartimento Politiche Ambientali della Cittadella subentrò in tutti i rapporti giuridici, contenziosi compresi. Circostanza comunicata dal dipartimento Protezione civile. In una missiva del marzo 2014 si dichiarava quindi estraneo alla controversia ma segnalava la data della successiva udienza in cui la Regione avrebbe dovuto riassumere il giudizio o quanto meno costituirsi in giudizio.
L’avvocato
«L’avvocato dello Stato titolare del fascicolo Attilio Barbieri, nulla comunicava alla Regione né prima l’udienza né dopo l’avvenuta ordinanza di interruzione. Pertanto il giudizio non veniva riassunto per tempo né da Calabria Ambiente né dal dipartimento Ambiente». Il lodo passava, quindi, in giudicato comportando la notifica di un atto di pignoramento al tesoriere della Regione per quasi 60 milioni di euro.
Il dirigente regionale
Oltre all’avvocato il danno erariale è stato contestato anche a Antonio Augruso, all’epoca responsabile dell’unità di progetto rifiuti, unità appositamente insediata per fronteggiare la fase di transizione dalla gestione commissariale a quella ordinaria.
La pec
Secondo la ricostruzione dei finanzieri, fu proprio il dirigente regionale a ricevere la comunicazione del dipartimento Protezione civile girata per ben due volte dal dipartimento Ambiente ma «inspiegabilmente non si attivava per effettuare la dovuta comunicazione all’ufficio legale regionale o comunque per adottare una qualunque iniziativa e restava completamente inerte». Entrambi citati a giudizio per un danno erariale di 35 milioni di euro nella misura del 50% ciascuno per condotte gravemente colpose.