In seguito all’emanazione del Dpcm che consente dal 4 maggio i rientri dei fuorisede, la Regione Calabria si è subito attivata per stabilire regole e mettere paletti. Registrazione su un’apposita piattaforma entro 48 ore dalla partenza, tampone nei laboratori mobili in autostrada, stazione o aeroporto e, in caso di esito negativo, interruzione della quarantena obbligatoria. E, dopo il rifiuto di alcuni rientrati a sottoporsi al test, è stato previsto anche il tampone a domicilio.

Fin da subito, però, sono emerse le prime contraddizioni. Laboratori mobili che chiudono già alle prime ore della sera, esami a domicilio non sempre effettuati, attese vane dei risultati se negativi, mancanza di informazioni. Informazioni che, quando ci sono, possono essere anche piuttosto contrastanti.   

La storia di Luisa

E non tardano ad arrivare le testimonianze di chi ha dovuto affrontare mille peripezie per seguire tutte le procedure previste. È il caso di Luisa Suraci, giovane reggina che vive a Milano la quale, al via libera da parte del governo, ha deciso di fare ritorno sulle rive dello Stretto. La partenza, il mattino dell’8 maggio: «Prendendo tutte le precauzioni e gli accorgimenti del caso – scrive sulla sua pagina Facebook - mi sono detta: “ma si dai, faccio il viaggio in macchina, in sicurezza, a Rosarno mi fanno il tampone e una volta a Reggio Calabria mi metto in isolamento fino al risultato dello stesso”. Ho trascorso 77 (SETTANTASETTE) giorni chiusa in casa a Milano, con il servizio di spesa a domicilio, ma visto il viaggio da intraprendere, la prudenza non è mai troppa».

«A quest’ora ormai è tardi»

Le cose però non sono andate decisamente come si aspettava: «Arrivo a Rosarno alle ore 19:00, deviazione obbligatoria presso l’area di servizio. La polizia controlla l’autocerficazione, tutto in regola: “prego, può andare”. A quel punto chiedo: “scusi ma per il tampone?” La risposta: “a quest’ora ormai è tardi” (????). Penso e ripenso “forse comunicano il rientro al mio comune di residenza e verranno a farlo a casa, dove ho dichiarato di fare la quarantena” (ottimista eh?)».

Il secondo tentativo

Luisa, però, non si perde d’animo e decide di recarsi presso un altro laboratorio mobile che si trova sul suo tragitto, nella stazione di Villa San Giovanni: «Sono le 19:30, vedo dei poliziotti a cui chiedo se fosse possibile fare il tampone “arrivo in macchina da Milano”. La risposta “si certo, qui in questi giorni li stanno facendo. Il treno arriverà alle 20:10”. Quindi, felice, aspetto in macchina. Ore 19:45. Ore 20:00. Ore 20:10. Il treno arriva, i passeggeri scendono e vanno a casa, mentre un volontario della croce rossa, nella sua auto, attende invano di svolgere il suo servizio. Di tampone, alla fine, neanche l’ombra».

«Ce l’ho fatta!»

La giovane non ci sta, vuole stare tranquilla e riabbracciare la sua famiglia. Un’amica le consiglia di andare alla stazione centrale di Reggio Calabria, dove sicuramente ci saranno addetti ai controlli che attendono lo stesso treno. «Così è stato – scrive Luisa -: erano presenti personale sanitario, carabinieri, volontari croce rossa. A debita distanza, armata di guanti e mascherina, spiego la mia situazione e provenienza e, senza alcuna esitazione, mi invitano a mettermi in fila per il test. “Ce l’ho fatta!”, penso. Qualche giorno e sarò sicura di stare bene».

La (vana?) attesa

E invece di giorni ne sono passati e Luisa non ha ricevuto alcuna comunicazione sull’esito del tampone né tantomeno sulla possibilità di interrompere la quarantena, qualora fosse negativo. Nel frattempo vive isolata, a scopo precauzionale e per senso civico. «Noi fuorisede attendiamo di conoscerne i risultati, per poter riabbracciare i nostri cari. E chiunque, magari asintomatico, può andare liberamente in giro», l’amara conclusione.

 

 

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