Soldi, ‘ndrangheta e massoneria deviata. La trinità del male prende forma nei racconti del “fratello” Cosimo Virgiglio, il collaboratore di giustizia di Rosarno che da tempo racconta alle procure antimafia del lato oscuro delle logge calabresi e non solo. Un mondo che il rosarnese conosce in profondità perché lo ha frequentato con assiduità dal 1992 fino al 2008 (anno del suo arresto e dell’inizio della collaborazione): prima a Messina, poi nella loggia del “Santo Sepolcro” a Roma e infine in quella dei Garibaldini d’Italia a Vibo Valentia.

Una delle sue ultime dichiarazioni sugli intrecci tra massoneria e ‘ndrangheta è avvenuta nel 2019, nel corso del primo grado dibattimento del processo ‘ndrangheta stragista. Incalzato dalle domande del procuratore aggiunto della Dda reggina Giuseppe Lombardo, il collaboratore ha parlato tra l’altro di come la massoneria riciclerebbe i soldi delle cosche in cambio di pacchetti di voti da usare nelle elezioni. L’audio di quella deposizione è stato ripreso e fatto ascoltare nel corso del format di LaC Rinascita Scott – il maxiprocesso alla ‘ndrangheta, condotto da Pietro Comito e Pino Aprile.

La collaborazione di Cosimo Virgiglio inizia all’indomani dell’operazione Maestro coordinata della Dda di Reggio Calabria. Il commercialista rosarnese viene arrestato e accusato di essere il principale referente imprenditoriale nel porto di Gioia Tauro di Rocco Molè, all’epoca dei fatti reggente del potente casato di ‘ndrangheta gioiese. E inizia a parlare, non solo del controllo delle cosche nei piazzali e banchine della grande infrastruttura portuale, ma anche di rapporti inconfessabili tra politica, ‘ndrangheta, massoneria e il mondo dell’imprenditoria.

Un impasto di interessi che, secondo Virgiglio, trova la sua sintesi anche in alcune logge nelle quali trovano posto, senza comparire ufficialmente, due tipologie di “fratelli” che non posso comparire nelle liste ufficiali delle logge: quelli che per «il loro collocamento sociale, o perché avevano una carica politica o perché non gradivano essere pubblicamente indicati come massoni»; e quelli, invece, che «pur essendo meritevoli della conoscenza del vangelo, il vangelo di Matteo, o di San Giovanni, non potevano fare parte perché contrastanti con la Legge Anselmi». In parole povere, quei soggetti che erano stati condannati per associazione mafiosa.

È il 15 febbraio 2019. Nell’aula bunker del tribunale di Reggio Calabria si sta tenendo l’udienza del processo Ndrangheta stragista. Sul banco dei testimoni il pentito Cosimo Virgiglio sta parlando di un presunto sistema di riciclaggio di denaro sporco della ‘ndrangheta da parte di una loggia, quella di San Marino, uno delle più influenti al mondo. In aula, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo chiede a Virgiglio «materialmente che cosa faceva, cioè questo sistema come operava?»

«Vado a scoprire – spiega il collaboratore - che il sistema operava in maniera contraria di come si è sempre pensato. E cioè, cercavano di mettere al riparo, di aiutare la ‘ndrangheta, per dire la criminalità organizzata, dai. Eh, cosa voleva? Mettere al sicuro i propri proventi. Allora, il sistema si preoccupava di mettere a sicuro i propri proventi con sistemi molto sofisticati di investimenti».

Virgiglio entra nel dettaglio, cerca di spiegare come quei proventi illeciti sarebbero stati “puliti”: «Erano dei sistemi di investimento immobiliare, o i sistemi delle finanziarie sammarinesi tipo la Fingestus. Quindi, i soldi andavano a finire là. Che poi successivamente, una volta che erano al sicuro, venivano utilizzati in forma di investimento in altri settori legalmente riconosciuti. Quindi i soldi venivano riciclati in maniera…in una maniera così pulita».
Lombardo: «Quindi questo sistema operava a contatto della ‘ndrangheta e agevolava la ‘ndrangheta riciclando dei capitali sporchi?».
Virgiglio: «Detta così in breve sì. Il concetto era questo».

Lombardo: «Quindi la ‘ndrangheta aveva bisogno di riciclare e questo sistema garantiva operazioni di riciclaggio, ma in cambio dalla ‘ndrangheta cosa volevano? Se volevano qualcosa».
La risposta di Virgiglio è secca: «Il pacchetto di voti».
Lombardo: «Cioè?».

Il sistema, secondo quanto sostenuto dal pentito di Rosarno, sarebbe stato gestito da Giacomo Maria Ugolini, ex ambasciatore di San Marino, massone potentissimo e controverso, scomparso nel 2006. Ugolini, aggiunge Virgiglio, era il massimo rappresentante del Grande Oriente di San Marino. Precisiamo che a Ugolini la giustizia non ha mai contestato nulla al riguardo.

«Il sistema Ugolini – racconta il collaboratore - voleva il consenso dei voti durante il periodo elettorale. Il patto di scambio principale era questo. Che pretendessero, ma invano, a volte, l’aiuto in determinati processi laddove si poteva fare allora intervenivano, come sono intervenuti con Rocco Molé e con altri appartenenti alla cosca Molé a sistemare certi processi. Laddove non lo potevano fare, la ‘ndrangheta era ben conscia che gli arresti sarebbero arrivati, ma l’importante era mettere al sicuro i soldi. I soldi sono potere, i soldi fanno acquistare uomini, fanno acquistare armi, possono vincere qualsiasi battaglia. Quindi l’importante era mettere a posto i soldi. I soldi che poi venivano nuovamente investiti in sistemi complessi, come ho detto prima, finanziari…».