L’imperturbabile clero calabrese continua a dare bella mostra di sé, scrivendo ultimamente più d’una pagina di ardua decifrazione. Se nei mesi scorsi abbiamo seguito con curiosità il doppio carpiato del vescovo di Mileto che - in barba a tutti i concordati - difendeva pubblicamente, e a spada tratta, un proprio prelato dalle accuse di estorsione mossegli dalla procura catanzarese (e i Patti Lateranensi, muti!); e ancora, se subito dopo abbiamo assistito alla brusca ritirata imposta dalla piccatissima replica di Nicola Gratteri, in un match Arcidiocesi versus Procura vinto per k.o. tecnico dal magistrato; e se infine, nei giorni scorsi, la Mobile di Vibo arrestava Felice La Rosa, già parroco di Zungri, condannato con sentenza definitiva alla pena di 2 anni e 4 mesi per il reato di induzione alla prostituzione minorile; ebbene: ieri, in questo annus horribilis della Chiesa di Calabria, la lontananza marziana di parte dell’ecclesia regionale dalle sue stesse gerarchie ha toccato il livello più alto. Magra consolazione, il fatto che stavolta, ha cassato senza incappare nelle maglie della giustizia (terrena, ovviamente!).

Via l'accoglienza, avanti Cocimo!

La palma non del martirio, ma della distanza ideologica dall’inequivocabile e severa linea sull’accoglienza ai migranti dettata da Papa Francesco, va difatti a padre Giovanni Coniglio e don Giovanni Piscioneri, parroci di Riace: gli stessi che l'ex Sindaco Lucano tacciava di sciogliere le campane della chiesa a mo' di rappresaglia, in concomitanza delle conferenze stampa, al fine di coprirne le parole. I sacerdoti, presenti alla rimozione del cartello stradale “Riace – paese dell’accoglienza”, sostituito dal calabresissimo "Benvenuti a Riace - paese dei santi medici e martiri Cosimo (Sic!) e Damiano”, hanno benedetto l’apposizione della novella segnaletica esprimendo soddisfazione per la nuova e più profonda collaborazione con la nuova amministrazione comunale, ed in perfetta sintonia con le parole del Sindaco leghista Antonio Trifoli. Che, contestualmente, rivendicava la paternità del gesto, quale «iniziativa dell'amministrazione per il 350° anniversario dell'arrivo della reliquia di san Cosma a Riace»).

Lo zampino della Nemesi

Ora: aldilà del fatto che Cosma è divenuto Cosimo, forse per assonanza affettuosa col nome calabrese del martire, Cocimo, non possiamo dimenticarci del fatto che i nuovi testimonial dell’ex paese dell’accoglienza sono i santi rom per eccellenza, nati in Medio Oriente e formatisi in Siria. E pertanto, in quanto tali, continuano a gettare su Riace un’aurea da minoranze, un karma di tolleranza che ha tutto il sapore della Nemesi che si vendica. Dall’esterno, il gesto assume il sapore di un dispetto personale. Ma resta il fatto che insieme al cartello, la chiesa locale sembra quasi aver gettato alle ortiche i precetti severi, durissimi, gesuitici di Francesco, primo pontefice a minacciare di scomunica i sovranismi, e professare il dovere dell’accoglienza quale punto imprescindibile e fondante del suo pontificato.

Che direbbe il Gesuita? 

Oggi, non sappiamo cosa direbbe il Gesuita a don Coniglio e don Piscioneri, in una immaginaria udienza privata. Ci piace però immaginare cosa gli diranno “Cocimo” e Damiano appena si accorgeranno della cosa. Anzi, cosa gli faranno. Magari, scenderanno dal cartello, usandolo come corpo contundente per picchiarci qualcuno. Magari, qualcuno con la fascia e qualcuno con la tonaca.