Il processo "Reset", nell'udienza celebrata il 13 febbraio nell'aula bunker di Lamezia Terme, ha ripercorso una parte dell'inchiesta condotta dalla Squadra Mobile di Cosenza sul presunto gruppo Presta di Roggiano Gravina, un sodalizio criminale che, almeno in primo grado, è stato condannato per il reato che contrasta il traffico di sostanze stupefacenti. Si è detto degli imputati che sarebbero narcotrafficanti ma non "vicini" alla 'ndrangheta. Per 'ndrangheta, in questo caso, si intende il sospetto clan Presta che, a dire della Dda di Catanzaro, sarebbe stato creato e portato avanti da Franco Presta. Su quest'ultimo c'è una biografia giudiziaria infinita e il suo percorso processuale è sempre stato contraddistinto dal fatto che la pubblica accusa lo ha inquadrato come braccio armato del boss Ettore Lanzino. Franco Presta infatti è stato condannato all'ergastolo per omicidi di mafia. Dunque, un killer al servizio del clan degli italiani.

Le nuove accuse a Franco Presta dopo la cattura

Che fosse un esponente di primo piano lo hanno raccontato soprattutto i pentiti e in ultimo le sentenze. Ma a distanza di dieci anni dalla sua cattura, che ha messo fine alla sua latitanza, la Dda di Catanzaro ha deciso di contestargli il ruolo apicale nella presunta associazione mafiosa operante tra Roggiano Gravina, San Marco Argentano, Tarsia, San Lorenzo del Vallo, Terranova da Sibari, Spezzano Albanese e altri comuni limitrofi. Franco Presta ad oggi è accusato di essere il capo di questo presunto gruppo di stampo mafioso e il suo vice sarebbe Antonio Presta, che di Franco è il cugino. E proprio "Tonino" nel processo "Valle dell'Esaro", è stato condannato con il ruolo di organizzatore e promotore dell'associazione dedita al narcotraffico. Una condanna pesante senza però l'aggravante dell'agevolazione mafiosa. Questo, quindi, è un punto di partenza per capire il prosieguo processuale di "Reset".

I punti di (non) contatto tra roggianesi e cosentini

Nell'udienza dibattimentale svoltasi nell'aula bunker di Lamezia Terme, il pubblico ministero Vito Valerio ha posto la sua attenzione accusatoria su alcune posizioni processuali già note a due terzi del collegio. Si è parlato infatti di Armando Antonucci, Giuseppe Presta, Francesco Ciliberti e Sandro Vomero (passato dal carcere ai domiciliari). Se da una parte, l'ufficiale di polizia giudiziaria ha dato la sua lettura delle intercettazioni contenute nell'informativa della Questura di Cosenza, le difese hanno cercato di evidenziare i punti deboli del castello accusatorio, soffermandosi su due aspetti. Il primo, sebbene riprenda il tema investigativo di "Valle dell'Esaro", può essere definito un dato documentale, ovvero ciò che certifica il processo per narcotraffico; il secondo invece riguarda i presunti collegamenti tra i roggianesi e i cosentini.

La domanda di Patitucci: «Tonino se la comanda?"

Il filotto di domande ha avuto come tema quello già scandagliato da altri difensori nelle precedenti udienze. «Risultano contatti» tra i vari soggetti inseriti nel contesto roggianese «con Patitucci, Piromallo, D'Ambrosio e Di Puppo?». La risposta del testimone escusso, in tal senso, è stata negativa. Ma facendo un passo indietro, possiamo vedere cosa dicevano Francesco Patitucci e Mario Piromallo in una conversazione intercettata a casa del boss di Cosenza. Il colloquio è del 14 maggio 2020. Siamo nell'ambito di una discussione in cui emerge - come ampiamente illustrato dal nostro network - il rifiuto da parte di Patitucci a fare "business" con gli "zingari" di Cosenza.

Cosa succede nella Valle dell'Esaro

La domanda che fa Patitucci a Piromallo è se «Tonino se la comanda?», invitando quindi l'interlocutore a fornire una risposta adeguata che la "cimice" non intercetta, in quanto la polizia giudiziaria ritiene incomprensibile il passaggio. Poi Patitucci esclama: «Se uscisse Franco Presta…». E la polizia scrive: «Parlano degli zingari, consorteria della quale Patitucci non si fida anche se non ha esitato a fare affari con loro. È probabile che il riferimento sia proprio ai nomadi quando i tre convengono sul fatto che qualcuno ha provato a minare la loro unità senza peraltro riuscirvi, cercando di seminare zizzania con gli alleati quali Antonio Pignataro alias “Tonino Cicchitella” del clan cetrarese e Antonio Presta che “se la comanda” nella Valle dell’Esaro facendo rimpiangere però suo cugino Franco Presta, altro storico esponente del clan relegato in carcere. Quasi per induzione, il discorso scivola ancora sulle diatribe interne, con Piromallo e Ariello che manifestano il loro risentimento nei confronti di Roberto Porcaro e Michele Di Puppo, con Patitucci che ancora una volta indossa i panni del pompiere per spegnere quel focolaio polemico».

La data degli arresti di Valle dell'Esaro

Su questa intercettazione, l'avvocato Esbardo ha posto una domanda che, dal suo punto di vista, chiarirebbe tutta la situazione facendo venire meno l'attualità dei rapporti tra i due gruppi. Ebbene, quando il difensore ha chiesto al testimone di polizia giudiziaria se ricordava la data dell'esecuzione dell'ordinanza custodiale di "Valle dell'Esaro", essendo preciso sul punto e menzionando il 10 febbraio 2020, qualche settimana prima dello scoppio della pandemia da Covid-19, il sovrintendente della polizia di Stato non è stato preciso.

Si parla di "stipendi" nel 2017

Il dato che spunta fuori da questo botta e risposta è uno. Rispetto al momento della conversazione tra Patitucci e Piromallo, datata (come detto) 14 maggio 2020, Antonio Presta e il resto della truppa criminale roggianese era in carcere da oltre tre mesi. Tornando ulteriormente indietro, le intercettazioni in cui "Tonino" Presta parla di "stipendi" e altri affari risalgono al 2017 (quando Patitucci era in cella per la detenzione abusiva della pistola), ma non ci sono contatti diretti tra i due sodalizi, se non un accenno "a un certo Alberto", al secolo Alberto Superbo, già condannato per associazione mafiosa per conto della cosca degli italiani. Su questo e tanto altro si giocherà dunque il futuro processuale del presunto clan Presta, una "chimera" investigativa che non troverebbe conforto (ad oggi) nel teorema accusatorio.