Una folla composta, una riservatezza ricercata, desiderata e, infine, ottenuta. È nella Chiesa di Santa Lucia che, questa mattina, in molti hanno dato l’ultimo saluto a Maria Rita Lo Giudice.

 

Telecamere e giornalisti lontani per volere della famiglia. Una liturgia del dolore alla quale hanno partecipato solo congiunti e amici più stretti. Non che le sue esequie fossero in forma strettamente privata, ma solo una ferma volontà di non pubblicizzare anche l’ultima umana carezza di una vita spezzata nei suoi anni più veri.

 

La salma di Maria Rita ha raggiunto la chiesa alle 10 del mattino. Lì, ad attenderla, i suoi familiari, distrutti da giorni di lacerazione e incredulità. Perché nonostante tutte le possibili teorie, gli accertamenti, le verità mezze o piene, l’unico dato certo è che la giovane ha smesso per sempre di vivere alle 6.50 di domenica scorsa.

 

Una santa messa molto semplice, senza troppi fronzoli. Parole di conforto che, solo in minima parte riescono a lenire un dolore che continua a perpetuarsi come fosse una pietra posata per sempre sul cuore di chi, Maria Rita, l’ha conosciuta davvero. Al momento della tumulazione, un incontro intimo, particolare, che sfugge a qualunque legge, norma o procedura. Quell’abbraccio ormai solo figurato fra la salma di una 25enne e suo padre. Un abbraccio consumato solo idealmente per un uomo che, sebbene ristretto in cella, ha potuto assistere alla sepoltura della figlia.

 

Perché oggi, più che in altri giorni, è il momento del silenzio. Tanto per Maria Rita, quanto per tutti coloro che con lei hanno condiviso 25 anni di vita. Oggi conta poco approfondire, immaginare, conoscere, chiedere. Conta poco persino porsi delle domande. Oggi rimane solo da guardare l’orizzonte e continuare a sperare che, almeno adesso, Maria Rita abbia potuto trovare quella pace che nessuno è stato in grado di donarle veramente in tutti questi anni.

 

Da domani sarà di nuovo tempo di tornare alla vita, ai quesiti, alle analisi. Sarà tempo per chiedersi cosa diranno quegli esami tossicologici voluti dalla famiglia; sarà tempo per domandarsi quanto abbia inciso, nella sua scelta, il peso di un cognome diventato molto più ingombrante negli ultimi anni rispetto al passato.

 

Ma domani deve ancora arrivare e, a noi, non rimane che sperare che, ovunque si trovi adesso, Maria Rita possa abbozzare quel sorriso intelligente, vivo e carico di aspettative, con cui abbiamo imparato a conoscerla da quella maledetta domenica mattina. E soprattutto che la sua morte possa lasciarci un’eredità preziosa: la capacità di andare al di là dei nomi e dei cognomi, degli stereotipi e dei preconcetti, per conoscere vite, sogni, sacrifici e progetti di chi ci sta di fronte.    

 

Consolato Minniti