Mentre a Castrovillari Maysoon Maijdi, attivista curda per i diritti delle donne in Iran, ieri ha iniziato lo sciopero della fame dopo il diniego degli arresti domiciliari, il tribunale del riesame di Reggio Calabria li ha invece concessi a Marjan Jamali. Entrambe le donne sbarcate in Calabria lo scorso anno sono detenute con l'accusa di essere scafiste e dunque di aver favorito scientemente l'arrivo in territorio italiano di migranti irregolari.

Leggi anche

Marjan è arrivata a Roccella Jonica con il figlio minorenne. Il ricongiungimento, unitamente alla valutazione delle esigenze cautelari, hanno inciso notevolmente sulla decisione del tribunale del Riesame.

La valutazione del tribunale del Riesame

«Sull'intensità del rischio cautelare incidono nella presente fase le incombenti esigenze assistenziali nei confronti del figlio in tenera età, avendo la famiglia affidataria rappresentato che a breve non potrà prendersi cura del minore. Nel corso delle dichiarazioni rese dinanzi al magistrato di sorveglianza in data 14 marzo 2024, l'imputata ha riferito di essere stata vittima di violenze anche in Iran da parte del marito e che, per questo motivo, si era allontanata con il figlio dal Paese d'origine, per assicurare a sé e al figlio un futuro migliore. Ebbene, la preoccupazione per il figlio è stata ribadita all'udienza del 23 maggio 2024 alla luce dell'indisponibilità della famiglia afgana di mantenere l'affido del bambino al termine dell'anno scolastico». Così si legge nell'ordinanza del tribunale del Riesame di Reggio Calabria.

Il commento dell'avvocato difensore

«La situazione di Marjan, pur restando aperta nel merito delle accuse a lei rivolte dai tre uomini, oggi irreperibili e che lei ha denunciato per violenza sessuale e calunnia, registra in questo frangente un risultato positivo. La giovane, che proviene da un contesto di violenza domestica in un paese che non riconosce diritti alle donne, in attesa del processo potrà finalmente ricongiungersi con il figlio di otto anni che con sè ha portato dall'Iran. I diritti della giovane continueranno a essere difesi in sede di processo affinché sia affermata la sua innocenza e la sua completa estraneità alle accuse contestatele». È quanto ha ribadito l'avvocato difensore della giovane Giancarlo Liberati.

Le prescrizioni

Ecco lo stralcio di ordinanza con le prescrizioni del tribunale e gli adempimenti necessari prima del rilascio dal carcere in favore dei domiciliari.
«In accoglimento dell'appello, sostituisce nei confronti di Qaderi Maryan (alias Jamali Maryam) la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari da eseguirsi presso l'abitazione in Camini, via Nuova n. 31. inserita nel progetto Sai gestito dalla cooperativa sociale Eurocoop servizi a r.I. (*Jungi Mundu"), con l'applicazione del braccialetto elettronico, in relazione al quale l'interessata ha prestato il consenso. Prescrive all'imputata di non allontanarsi dalla suddetta abitazione senza autorizzazione dell'Autorità Giudiziaria e di non comunicare, con qualsiasi mezzo, con persone diverse da quelle che con lei coabitano, ad eccezione del difensore e dei dipendenti della cooperativa predetta preposti alla sua assistenza. Ordina, per l'effetto, la scarcerazione di Qaderi Maryan (alias Jamali Maryam), se non detenuta per altra causa, contestualmente all'installazione del dispositivo, per la quale delega la p.g. operante Commissariato di P.S. di Siderno, che provvederà a comunicare, esaurite le necessarie verifiche propedeutiche, la possibilità di immediata installazione del braccialetto elettronico, in vista della scarcerazione. alla Casa Circondariale di Reggio Calabria S. Pietro».

La mobilitazione e la solidarietà

Intanto la rete di associazioni a supporto di Marjan, che lo scorso 23 maggio è stata presente al Cedir in occasione dell'udienza davanti al tribunale del Riesame, conferma la sua presenza all'udienza del prossimo 17 giugno, dinnanzi al tribunale di Locri. In quella data saranno discusse nel merito le accuse rivolte alla giovane iraniana.

«Invece di essere finalmente al sicuro in Italia, si ritrova a doversi difendere da un'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Si ritrova ad essere accusata di essere responsabile di un traffico di cui è invece merce», sostengono i rappresentanti di tante realtà collettive del territorio che come nel cosentino per Maysoon si stanno mobilitando anche a Reggio.

Il sit-in di solidarietà

«Sono venuto dalla Sicilia per partecipare a questo presidio che le realtà solidali reggine hanno tenuto per Marjan. Penso che la strada per ottenere verità e giustizia sia tutta in salita nonostante sia evidente l'innocenza di Marjan, che invece sta rischiando una condanna. Il lavoro da anni svolto da varie reti a livello europeo lo sta purtroppo dimostrando. Ad essere colpiti sono sempre e solo gli anelli deboli della catena del traffico di esseri umani piuttosto che i veri trafficanti che continuano a trarre profitto. Questo va denunciato e questa realtà vanno ristabilite giustizia e verità», così Alfonso Di Stefano, del costituendo comitato "Free Marjan Jamali".

«Riteniamo che Marjan sia stata accusata ingiustamente come purtroppo è accaduto anche alla connazionale Maysoon e accade a tantissimi altri migranti. Accuse e detenzioni che non sono altro che la conseguenza di leggi che sostanzialmente criminalizzano chi non ha alcuna responsabilità piuttosto che i veri colpevoli. Saremo anche a Locri il prossimo 17 giugno per manifestare vicinanza e solidarietà a Marjan. Non è tollerabile che siano accusati coloro che sono vittime del traffico di esseri umani e di quelle stesse leggi che dovrebbero contrastarlo. Non si può criminalizzare chi invece dovrebbe essere tutelato dalla legge del nostro Paese. Noi ci siamo e ci saremo per lei, per Maysoon e per quanti sono ingiustamente detenuti in questo momento». Così Rosa Alba De Meo del costituendo comitato "Free Marjan Jamali"

L'istanza per gli arresti domiciliari

«Il prossimo 17 giugno - spiega l'avvocato difensore della giovane madre Giancarlo Liberati - sarà avviato il processo presso il tribunale di Locri. Spero vivamente che Marjan abbia giustizia almeno in questo paese, dopo avere già patito abbastanza nel suo. Fino a questo momento ha convissuto con il dolore del distacco dal figlio, per vivere con il quale ha affrontato l'odissea della fuga dalla sua famiglia e dal suo paese. Un figlio - spiega ancora l'avvocato Liberati - che comunque ha visto e sentito ma con il quale avrebbe voluto vivere ogni giorno. Con gli arresti domiciliari accordatele, adesso sarà possibile. Abbiamo registrato una grande sensibilità in questo senso. Il legame continuerà a essere preservato».

Dalla violenza all'ingiustizia: il viaggio di Marjan

Aver conosciuto la violenza tra le mura domestiche in un paese in cui l'omicidio della propria moglie, della propria sorella, della propria parente, di una donna che non sia accondiscendente e sottomessa, non è punito. Non è reato. Aver rischiato di morire per mano del marito violento. Essere scappata con il proprio figlio di otto anni, via mare senza mai averlo visto prima, solo per cercare soprattutto per il piccolo una vita diversa, un futuro di libertà e speranza.

Questa è la storia di Marjan Jamali, 29 anni a luglio, giunta a Roccella Jonica con il suo bambino di otto anni con oltre un centinaio di altri migranti di varie nazionalità, lo scorso ottobre. Una storia drammatica, come tutte quelle di coloro che attraversano il Mediterraneo. Vittime dei trafficanti di esseri umani che lucrano sulla loro disperazione e sul loro stato di bisogno, che pretendono cifre astronomiche per un viaggio pericoloso e senza alcuna garanzia di sopravvivenza.

La storia di Marjan, tuttavia, potrebbe essere ancora più drammatica. Su di lei pende l'accusa di essere una scafista e di avere scientemente (con dolo) favorito l'ingresso di migranti clandestini sul territorio italiano. Per questo è detenuta nel carcere di Reggio Calabria e rischia la condanna, prossima ad essere trasferita a Camini, nella Locride, in regime di arresti domiciliari in attesa del processo.

L'accusa dei tre presunti violentatori

«Un'accusa nata dalla testimonianza di tre soli uomini - spiega ancora l'avvocato Giancarlo Liberati che la difende dallo scorso febbraio - che per altro sono i cittadini iracheni che lei ha denunciato per violenza sessuale e calunnia. Potrebbero aver indicato lei come atto ritorsivo per essersi opposta alle violenze. In questa direzione ha testimoniato anche Babai Amir, che aveva tentato di difendere la donna dagli abusi e che per questo potrebbe anche lui essere finito nel mirino della ritorsione dei tre uomini che poi si sono resi irreperibili. Anche lui è accusato di essere uno scafista.

Stessa testimonianza è stata resa anche dai due uomini egiziani che già sono stati condannati per essere gli scafisti. Circostanze che dovrebbero rendere inattendibili le accuse rivolte a Marjan che può anche provare, con documentazione nominativa, di aver pagato il viaggio suo e di suo figlio versando la somma di 14 mila dollari. E invece Marjan, non solo è in stato di detenzione ma è anche lontana da suo figlio, affidato in questo momento ad una famiglia di Camini, nella Locride.

Dimostrando il pagamento del suo viaggio, che dunque non sarebbe stato barattato con la collaborazione ma "comprato" come dagli altri migranti spero di riuscire a dimostrare la sua innocenza e la sua completa estraneità ai reati contestati. Dopo la vita tormentata, che ha lasciato rischiando di non sopravvivere, e la pericolosa traversata certamente oggi Marjan dovrebbe essere accolta in una struttura protetta e non in carcere». È quanto dichiara ancora l'avvocato Gianfranco Liberati.

Spesso ricattati ma mai riconosciuto lo stato di necessità

«Voglio sperare che i giudici prenderanno la decisione giusta, con riferimento alla richiesta odierna e poi nel merito durante il processo. Spero che possano farlo nonostante una legge di cui faticosamente stiamo cercando, a colpi di ricorsi fino in Cassazione, di dimostrare l'illegittimità. La condotta materiale aspramente punita con il decreto Piantedosi o post Cutro, e che si concretizza nel favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, può essere costituita dalla guida del mezzo come anche nell'assolvimento di compiti come la distribuzione dell'acqua o del cibo, il mantenimento dell'ordine.

La presunzione fa il resto, configurando che dietro questa attività ci sia stato un profitto diretto o addirittura indiretto. Nei circa 140 casi che ho trattato, date le storie sempre molto assimilabili, mai sono ancora riuscito a vedere applicata la scriminante dello stato di necessità per escludere la punibilità. Eppure spesso i racconti riferiscono di condizioni di costrizione, ricatto, soggezione, insomma nessun solo ma stato di bisogno e di necessità, tentativi per sopravvivere. Il recente film di Matteo Garrone "Io Capitano" racconta fedelmente questo spaccato drammatico. Dunque occorre lavorare ancora molto. Spero che già da questo processo possa intravedersi una strada per cambiare direzione». Così conclude l'avvocato Giancarlo Liberati.