L’arrivo delle pattuglie delle fiamme gialle al centro sportivo Sant’Agata ha provocato ricordi dolorosi nella tifoseria amaranto. Ricordi che portano direttamente alla primavera scorsa, con il clamoroso arresto di Luca Gallo e la conseguente paura, prima del salvataggio di Saladini, di affossare sotto i colpi di finanza creativa con cui l’imprenditore di Primavalle si era preso la Reggina.

Anche la perquisizione di martedì, anche se di rimbalzo, è figlia di quella gestione dai tratti contrastanti. Sul piatto, questa volta, i bonifici per la sponsorizzazione della stagione di serie B 2021/2022 da parte della Dalia srl, aspirante start up di prodotti e attrezzature mediche e presunto specchietto per le allodole nel tentativo di “sotterrare” parte dei soldi figli di una maxi truffa su crediti fiscali farlocchi e rimborsi edilizi altrettanto finti. Soldi che sarebbero serviti alla vecchia società per appianare una serie di debiti erariali passati e che niente hanno a che fare con l’attuale gestione.

Salvataggi inaspettati, rumorosi fallimenti e ripartenze faticose. La storia recente del calcio professionistico a Reggio mette i brividi. Un ottovolante di emozioni comprese tra gli ultimi fasti dell’era Lillo Foti e i tempi moderni sotto la guida di Saladini. E in mezzo gli anni di dignitosa magra con i Praticò e quelli di scintillante vuotezza dell’imprenditore capitolino.

Quando nell’estate del 2015, dopo il clamoroso spareggio salvezza vinto – per l’ennesima volta – contro i rivali di sempre aldilà dello Stretto, la Reggina sopraffatta dai debiti non si iscrisse al campionato di Lega Pro, in molti pensarono alla fine del calcio in città. A fare naufragare la società – che pochi anni prima aveva emozionato un’intera regione con una cavalcata nella massima serie durata quasi un decennio – debiti per quasi 20 milioni di euro che finirono con il costare all’ex presidente e al board societario di allora, l’accusa di bancarotta fraudolenta.

Fu Mimmo Praticò, per anni delegato del Coni Calabria, a inventarsi una nuova società che sulle ceneri della gloriosa Reggina Calcio ripartiva dalla serie D. È la stagione di Ciccio Cozza in panchina, del clamoroso 3-0 a Roccella (con l’altrettanto clamorosa invasione amaranto nel piccolo stadio jonico) e di uno striminzito quarto posto finale che maturò a fine stagione in un insperato ripescaggio tra i pro. Lo scioglimento dei gruppi organizzati in Sud e le due stiracchiate salvezze targate Zeman (leggi Karol, figlio catenacciaro del boemo di Roma e Lazio) e Agenore Maurizi (che fino a quel punto aveva fatto bene nel calcio a 5 e che dopo quella esperienza, per fortuna, al calcio a 5 era tornato) segnarono un raffreddamento, almeno nelle presenze allo stadio, nel legame tra Reggio e la sua squadra di pallone.

Anche il centro sportivo Sant’Agata, che per anni era stato fucina di talenti (e di clamorosi guadagni) era stato abbandonato a se stesso. Minacciata da una nuova marea di debiti, anche la nuova Urbs Reggina era finita ad un passo da un nuovo fallimento. Furono i lustrini di Gallo – e i soldi veicolati sulla Reggina dalle sue società – ad impedire all’ultimo istante che il sipario calasse ancora sulla squadra amaranto.

Con gli stipendi ancora da versare ai calciatori, l’intervento di Gallo scongiurò l’ennesima figuraccia. Spendaccione – diranno le indagini – con i soldi non versati allo Stato dalle sue società, egocentrico (sul pullman della Reggina venne serigrafato anche il suo faccione accanto allo stemma del club) e decisamente sopra le righe (la maglietta in dialetto destinata ai tifosi giallorossi ha fatto molto rumore tra la tifoseria del Catanzaro) Gallo ha comunque il merito di avere riportato la Reggina in serie B in un campionato che prima di essere falciato dal Covid era stato dominato dalla formazione di Mimmo Toscano.

E poi il gioiello Menez arrivato in catamarano e i proclami di serie A: fino alle manette del cinque maggio scorso, quando il castello di carte su cui Gallo aveva fondato la ripartenza della Reggina, crolla sotto il peso delle accuse dei pm di Roma. L’indagine, non ancora chiusa e a cui si è aggiunta anche quella dei magistrati di Catania che imputano a Gallo una serie di rovinose bancarotte fraudolente, dimostrò come la Reggina fosse di fatto diventata una scatola cinese nelle mani dell’imprenditore romano. Poi, storia recentissima, l’arrivo a fari spenti di Saladini, la corsa contro il tempo per saldare i debiti e iscrivere la squadra al campionato cadetto, gli incroci inevitabili con la curatela fallimentare e i magistrati di piazzale Clodio e finalmente, il passaggio di mano nella nuova società dell’imprenditore lametino. Una società che per tagliare i ponti con l'imbarazzante passato, ha nominato un ex prefetto come presidente.