La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di tutti gli imputati. Regge l'accusa che ha dimostrato l'operatività della 'ndrina di Melito Porto Salvo attiva nell'area grecanica della provincia reggina
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Regge in Cassazione il processo “Ada-Sipario-Replica”. È di pochi minuti fa la sentenza emessa dalla Suprema Corte nei confronti dei 38 imputati accusati, a vario titolo, di essere affialiati alla cosca Iamonte di Melito Porto Salvo. Rigettati infatti, tutti i ricorsi degli imputati che avevano appellato quanto deciso, nel gennaio dello scorso anno, dalla Corte d’Appello reggina.
Alla sbarra c’era, fra gli altri, il boss Carmelo Iamonte per cui son andati definitivi i 13 anni di reclusione (già in secondo grado stabiliti “in continuazione” con precedente sentenza). Per gli Ermellini l’imputato, una volta uscito dal carcere e dopo che il fratello Remingo si trovava detenuto nell'ambito dell'operazione "Crimine", ha continuato a reggere le redini della cosca. Definitiva anche la sentenza per Remingo Iamonte la condanna di Appello (2 anni di carcere).
L'inchiesta
Regge quindi al vaglio della Cassazione l’inchiesta della Dda reggina, coordinata dai pm antimafia Antonella Crisafulli, Antonio De Bernardo e Luca Miceli (questi ultimi trasferiti presso altre sedi giudiziarie) e condotta dai Carabinieri del comando provinciale e dalla compagnia di Melito Porto Salvo. Centinaia di intercettazioni, telefoniche e ambientali, hanno permesso all’accusa di dimostrare l’egemonia della ‘ndrina nel territorio dell’area grecanica. Subito dopo il blitz dell’Arma uno dei fermati, Giuseppe Ambrogio deciderà di “pentirsi” e agli inquirenti farà nomi e delineerà ruoli di boss e gregari della cosca melitese. Anche in Cassazione è stata vagliata positivamente la sua collaborazione con la Dda dello Stretto. Ambrogio all’esito del processo di primo grado venne condannato a 3 anni e 4 mesi di carcere dal gup distrettuale che per primo aveva decretato “riscontrabili” le sue dichiarazioni. Con l’operazione “Ada-Replica-Sipario”, la Dda reggina ha fatto quindi luce sulle attività della consorteria mafiosa degli Iamonte, arrivando anche a scoprire come la cosca riuscì ad infiltrarsi nelle Istituzioni. Il consiglio comunale, proprio a seguito delle inchieste, fu sciolto per mafia e i due sindaci, Giuseppe Iaria e Gesualdo Costantino, chiamati pesantemente in causa. Entrambi però, scelsero di essere giudicati attraverso il rito ordinario e per loro nel gennaio scorso il Tribunale di Reggio Calabria ha disposto, all’esito del processo di primo grado, una condanna a 12 anni di detenzione per Iaria e a dieci per Costantino.
L’elenco con tutte le decisioni della Corte d’Appello confermate oggi dalla Cassazione:
Francesco Cento: sei anni e otto mesi
Adriano Valentino Ferrara: 1 anno e 4 mesi
Pietro Flachi: otto anni e otto mesi
Filippo Fontana: riconosciuta 12 anni (in continuazione precedente sentenza)
Francesco Fosso: 6 anni
Giovanni Gullì: 7 anni e 4 mesi
Carmelo Iamonte: 13 anni (in continuazione precedente sentenza)
Francesco Iamonte cl. ’73: 3 anni e 5 mesi
Remingo Iamonte: 2 anni
Davide Iaria: 1 anno e 8 mesi
Leone Francesco: 6 anni e 8 mesi
Giovanni Marino: 4 anni, 5 mesi e 10 giorni
Antonio Meduri: 7 anni
Consolato Meduri: 6 anni
Angelo Minniti: 7 anni
Giovanni Minniti: 6 anni e 8 mesi
Salvatore Minniti: 8 anni e 8 mesi
Domenico Nucera: 1 anno e 6 mesi e 3mila euro
Maurizio Pangallo: 4 anni, 5 mesi e 10 giorni
Quinto Antonio Rosaci: 7 anni e 4 mesi
Giovanni Tripodi cl. ‘71: 9 anni e 8 mesi
Giovanni Tripodi cl. ’79: 6 anni
Paolo Amodeo 6 anni
Alessio Borchiero 1 anno e 6 mesi
Giovanni Borruto 7 anni e 4 mesi
Giampaolo Chilà 6 anni
Andrea Domenico Costarella 7 anni e 4 mesi
Giovanni Foti 6 anni e 6 mesi
Giuseppe Guerrera 8 anni
Francesco Iamonte (cl. ’80) 6 anni
Natale Iamonte 6 anni
Giuseppe Romeo Iaria 6 anni e 6 mesi
Carmelo Laganà 6 anni
Antonio Mazzeri 7 anni e 4 mesi
Antonino Tripodi 9 anni
Giovanni Tripodi (cl. ’82) 6 anni
Bartolo Verduci (cl. ’76) 6 anni e 6 mesi
Gaetano Verduci 8 anni