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Solo leggere riduzioni di pena per qualche imputato nel grado d’appello del processo “Il padrino”. I giudici di piazza Castello, infatti, hanno confermato pienamente la tesi accusatoria della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, nell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.
La sentenza d'appello
Nei confronti di Francesco Caponera e Antonio Marco Malara è stata esclusa la recidiva e, per l’effetto di tale decisione, i due sono stati condannati rispettivamente a sei anni e due mesi e sei anni di reclusione. Leggero ritocco della pena anche per Giovanni Pellicano, per il quale si passa da una condanna a nove anni in primo grado ad una a otto anni di reclusione. Per il resto solo conferme rispetto a quanto statuito dal gup: sei anni per Stefano Costantino, Giovanni Malara e Paolo Malara. Sei anni e otto mesi per Domenico Malara, 8 anni per Antonio Lavilla. Rimane ferma anche la dura condanna comminata dal gup Lauro a Vincenzino Zappia, ossia 17 anni di carcere.
L'inchiesta
L’inchiesta “Il padrino” partì dalle indagini che portarono alla cattura del boss Giovanni Tegano il 26 aprile del 2010, dopo ben 17 anni di latitanza. L’uomo fu sorpreso all’interno di un’abitazione di Terreti. Da quella fitta rete di fiancheggiatori venne fuori poi materiale utile pe ricostruire quel sistema di complicità che si mosse per assicurare l’impunità all’anziano patriarca mafioso. Celebre fu quell’urlo che si alzò all’uscita dalla questura: “Uomo di pace”. A urlarlo una donna imparentata con Tegano, per rimarcare quel presunto ruolo di “paciere” durante la seconda guerra di ‘ndrangheta. Posizione nettamente smentita, però, dai processi che hanno dimostrato a piene mani come Tegano sia stato un boss sanguinario al pari di altri.