La Procura generale di Catanzaro ha impugnato la sentenza che assolve i rappresentanti delle due società di imprese funebri di Lamezia Terme
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Lo scorso 18 luglio scorso la Corte d’Appello di Catanzaro ha assolto dall’accusa di associazione mafiosa Pietro Putrino, Diego Putrino classe ’82, Putrino Diego classe ’67, Ugo Bernardo Rocca e Vincenzo Torcasio dal reato di associazione mafiosa perché il fatto non sussiste.
Secondo i giudici d’appello, si legge nelle motivazioni della sentenza, «Non vi è prova dell’esistenza di un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti, per Putrino, nell’imporsi sul territorio in posizione dominante grazie alla cosca» Iannazzo.
Dunque i titolari della società di pompe funebri e di servizio ambulanze non avrebbero coltivato un rapporto di reciproco vantaggio con la consorteria radicata nel quartiere Sambiase di Lamezia Terme.
Il ricorso della Procura generale
A questa tesi si oppone però la Procura generale che ha proposto ricorso in Cassazione chiedendo che venga annullata la sentenza proprio per quanto riguarda l’assoluzione degli amputati dall’associazione mafiosa, senza riqualificare il reato in concorso esterno. Il sostituto pg Raffaela Sforza ha, inoltre, chiesto l’annullamento della revoca della confisca dei beni e delle società dei Putrino e dei Rocca e l’annullamento del rigetto della confisca anche per equivalente, del profitto frutto della commissione degli illeciti amministrativi nei confronti di Croce Rosa Putrino s.r.l., La Pietà Putrino s.r.l., Putrino Service s.r.l., Rocca Servizi s.a.s. di Pietro Rocca.
Reciproci vantaggi tra Putrino e Vincenzo Iannazzo
Secondo il pg, già in fase cautelare, il Riesame aveva ritenuto configurabile, nei riguardi di Pietro Putrino, la fattispecie delittuosa di concorso esterno in associazione mafiosa e che il successivo ricorso per Cassazione proposto nell’interesse dell’imputato era stato dichiarato inammissibile con sentenza della Corte di Cassazione. Questo perché aveva assunto una certa rilevanza «l’accertata esistenza di rapporti intercorrenti tra Putrino Pietro e Vincenzo lannazzo, così come risultanti dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, che, in modo univoco, hanno dato conto del fatto che Putrino si interfacciava con l’esponente di vertice della consorteria confederata in un contesto di reciproci vantaggi».
L’ascesa dei Iannazzo e la crescita dei Putrino
Questi reciproci vantaggi consistono, sostiene l’accusa, per Pietro Putrino nello sbaragliare la concorrenza e porsi come società forte davanti agli operatori delle strutture sanitarie pubbliche di Lamezia Terme. «Significativo era – scrive il pg –, in tale direzione, il dato della crescita esponenziale delle imprese del Putrino nel periodo di ascesa della cosca lannazzo-Cannizzaro-Daponte, a fronte della constatazione di introiti prossimi allo zero delle altre imprese».
Le assunzioni
Gli investigatori avevano inoltre constatato come la ditta Putrino avesse assunto soggetti legati alla criminalità locale: «Pierdomenico lannazzo (figlio del boss Ciccio Cafarone), Luigi Notarianni (figlio di Aldo, detto Pilosci, con pregiudizi penali), Vincenzo Torcasio detto Enzino, Giovanni Giampà, padre dei fratelli Saverio e Davide, associati al clan Giampà e condannati» per associazione mafiosa.
Le dichiarazioni di Giuseppe Giampà
Il collaboratore di giustizia Giuseppe Giampà, già reggente dell’omonima consorteria, aveva dichiarato «facemmo atti intimidatori nei confronti della ditta Putrino per la successiva estorsione, quando era ancora vivo mio zio Pasquale Giampà “Boccaccio”, ma in quell’occasione Vincenzino Iannazzo intervenne presso di noi dicendo di lasciare stare Putrino perché era una persona che interessava a lui».
Dall’altro lato la cosca aveva la disponibilità dei locali Putrino «per incontri tra esponenti ed imprenditori». I vantaggi derivavano, ancora, dal fatto che Putrino mettesse «a disposizione del sodalizio medesimo proprie risorse finanziarie per il cambio di assegni o per necessità di contante; nel sostegno economico prestato a detenuti e latitanti del clan; nell’attività di mediazione svolta in occasione di alcuni screzi di tipo familiare, che facevano emergere l’instaurazione di un rapporto sinallagmatico tra la consorteria e Putrino Pietro, tra le reciproche prestazioni, non solo promesse ma anche eseguite».
«Putrino non era imprenditore-vittima»
Dunque non si trattava, continua Sforza, «di imprenditore-vittima, in quanto il collaboratore di giustizia Giuseppe Giampà ha riferito che lo stesso Putrino gli aveva confidato di essere amico di lannazzo ( “Non è assoggettato che c’ha paura degli lannazzo, perché sono amici...”), escludendo che potesse essere considerato succube, in quanto Putrino era un soggetto rispettato da tutti e per il fatto che il Putrino si attivava per assumere nelle proprie imprese soggetti legati alla famiglia lannazzo da rapporti di parentela o comunque contigui o vicini alla cosca, che potessero esercitare nei riguardi dei concorrenti e degli operatori sanitari dell’ospedale di Lamezia Terme una spiccata e continua pressione (o persuazione) per garantire e assicurare alle imprese di Putrino il monopolio nella gestione dei servizi funerari…».
Le dichiarazioni convergenti dei collaboratori
Il collaboratore Matteo Vescio ha affermato: «Pietro lannazzo mi disse che per quanto riguardava le morti c’erano dei dottori di là che loro gli dicevano quando muore qualcuno... che quando muore qualcuno dice “chiama a Putrino”... chiamate a Putrino... e Pietro me lo disse, “sai quanti morti gli facciamo prendere a Pietro Putrino?”».
E già nel 2010 l’ex consigliere comunale Giovanni Governa aveva dichiarato: «Putrino si sa che agisce in nome dei lannazzo... Putrino cura gli interessi della sanità lametlna per conto degli lannazzo... i lannazzo gestiscono sia l’ospedale di Lamezia Terme».
In tempi più recenti Gennaro Pulice, già organico della cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte ha affermato: «Quella di Putrino che è l’impresa di pompe funebri, forse, storica a Lamezia Terme, forse una delle più importanti situata a Sambiase, impresa che ha come punto di riferimento la famiglia lannazzo, e in particolar modo anche il Bruno e comunque la famiglia Gagliardi, il Bruno e l’Alfredo Gagliardi».
La rivalità tra Rocca e Putrino
Gli stessi collaboratori di giustizia convergono, poi, nel «descrivere lo scambio di favori tra il gruppo Rocca e la cosca confederata lannazzo-Cannizzaro-Daponte, con particolare riferimento al rapporto di reciproca utilità determinato dalle assunzioni di rilievo criminale, funzionale a consentire il predominio della ditta Rocca e di quella Putrino». Gli stessi Rocca avrebbero avuto incontri con Bruno Gagliardi, esponente della cosca, per «tenere testa ai Putrino». L’incontro, racconta il pentito Matteo Vescio, sarebbe avvenuto nel 2010 tra Rocca Pietro, Ugo Bernardo Rocca, Silvio Rocca e Bruno Gagliardi.
Gli stessi Rocca avrebbero fatto incendiare, in località Cortale, l’auto di un dipendente di Putrino, dice Vescio, per mandargli un messaggio intimidatorio.
In effetti gli accertamenti delle forze dell’ordine avevano acclarato che il 23 ottobre 2007 era stata incendiata a Cortale un’autovettura di un dipendente della ditta Putrino.