VIDEO | Nell’ultima puntata di LaC Dossier la ricostruzione del dramma di questa donna del Nord venuta a trascorrere le vacanze in Calabria ma non fece mai ritorno a casa. Quello che le accadde si seppe solo trent'anni dopo
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Una storia tragica, un sequestro perso nella nebbia fitta del silenzio e dell’omertà. Poi una verità che arriva da lontano, più di trenta anni dopo, aprendo uno squarcio su un epilogo funesto e barbaro.
Fu violentata e uccisa a bastonate Mariangela Passiatore, rapita a 44 anni il 28 agosto del 1977 da Brancaleone, in provincia di Reggio Calabria, dove stava trascorrendo le vancanze con il marito e le figlie. Venne strappata ai suoi affetti durante una cena, proprio pochi giorni prima di tornare nella sua Cinisello Balsamo.
Cinque uomini armati e incappucciati entrarono nella villa e legarono tutti i presenti ad eccezione di Mariangela che venne caricata e portata via. Un uomo rimase a vegliare che non venissero chiamati i soccorsi fino a tarda notte per permettere così ai suoi complici di avere il tempo di allontanarsi con “la refurtiva”.
Era merce, merce di scambio Mariangela e come lei le decine di sequestrati di quegli anni. Una merce pregiata ma fragile Mariangela che aveva problemi al cuore, un’ulcera intestinale e nervi deboli.
Assumeva spesso ansiolitici e medicine varie che chi la “custodiva” cercava di recuperare senza destare nell’occhio. E proprio durante una di queste assenze avvenne ciò che non sarebbe mai dovuto accadere. Lo riveleranno le intercettazioni dell’inchiesta «Platino» condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Milano e coordinata dai pm antimafia Giuseppe D’Amico e Paolo Storari molti anni più tardi.
La sera del 22 aprile 2012 gli investigatori captarono una lunga conversazione su un Citroen C2 tra Michele Grillo, membro del commando del sequestro, e Luciano Catanzariti. È Grillo a raccontare di avere lasciato sola la donna con altri carcerieri per recarsi in farmacia e di averli trovati al suo ritorno intenti a stuprarla mentre questa era stordita dall’effetto degli ansiliotici che utilizzava. Dopo la donna sarebbe stata uccisa a bastonate.
«Ero andato a prenderle le medicine. Era nervosa, una persona con problemi, prendeva le medicine e le veniva un sonno pieno. Ero con tre paesani e hanno iniziato a fare domande: a che vi servono? Perché quelli sapevano che si dovevano portare per lei. Poi torno ed erano là che la stavano stuprando. Sono arrivati e l’hanno trovata che dormiva... io dovevo salire a portare le medicine. Ho trovato questi, questi cornuti...bastardi e cornuti l’hanno ammazzata a bastonate in testa».
È in questa scena agghiacciante, da “Arancia Meccanica”, che è racchiuso il perché Mariangela non tornò mai casa, perché si interruppero i contatti da parte dei sequestratori, nonostante il marito Sergio Paoletti avesse offerto 30 milioni delle vecchie lire a chi lo aiutasse a ritrovarne i resti.
Ma c’è un’altra vittima in questo sequestro. Si tratta di Giulio Cotroneo, 45enne commerciante amico della famiglia Paoletti che cercò di indagare sul caso e venne fatto fuori il 13 settembre del 1977.
Il 16 ottobre vennero arrestati Angelo Bello, Fortunato Gallo, Leo Alati e Carmelo Scaramuzzino accusati sia del sequestro di Mariangela che dell’omicidio di Cotroneo. Il processo davanti alla Corte di Assise di Locri vide l’assoluzione con formula piena per i cinque imputati in primo grado. Anche in appello gli imputati venero assolti, nel frattempo però uno di loro, Angelo Bello, era stato assassinato.