Prosegue la vicenda giudiziaria che vede parte lesa un bambino calabrese, di soli nove anni all’epoca dei fatti (oggi ne ha 12), vittima di un grave caso di bullismo che fece scalpore, anche per la giovane età dei soggetti coinvolti. In attesa di sviluppi del procedimento penale pendente presso la Procura ordinaria di Reggio Calabria, per il tramite del sostituto procuratore Nunzio De Salvo (ci sarebbe un indagato), si sono concluse le indagini preliminari relative al parallelo fascicolo aperto alla Procura del Tribunale dei minorenni reggino, con una richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero minorile, Giuseppina Latella, a carico di un ragazzo oggi 17enne che allora frequentava lo stesso istituto comprensivo della vittima e di cui sono evidentemente emerse pesanti responsabilità negli episodi persecutori e di violenza denunciati. Lo riporta una nota a firma dello studio 3A.

I reati contestati

Al giovane sono contestati una serie di gravi reati: concorso materiale e reato continuato, percosse, minacce, lesioni personali. Condotte messe in atto all’interno o nelle vicinanze di istituti di istrizione. In relazione alla richiesta il gip dei Tribunale dei Minori in questi giorni ha fissato l’udienza preliminare per il 25 gennaio 2019.

Vittima di bulli

 

La piccola vittima, che allora, nell’anno scolastico 2015-16, frequentava la terza elementare di un istituto della provincia di Reggio Calabria, era diventato il bersaglio di un gruppo di bulli, compagni di classe, coetanei ma anche alcuni ragazzi più grandicelli, che non perdevano occasione per prenderlo in giro e fargli scherzi di pessimo gusto, come lo zainetto gettato nella spazzatura. La mamma Francesca, vedendo che il figlio rincasava spesso in lacrime, e venuta a conoscenza delle vessazioni a cui era sottoposto, si è recata più volte a scuola, ha parlato con gli insegnanti e il preside, ma l’unica risposta ricevuta è stata il “consiglio” di accompagnare l’alunno e di venirlo a prendere dieci minuti dopo il suono della campanella per evitargli il momento più critico dell’entrata e uscita.

Il pestaggio nel cortile della scuola

Così, visto anche che l’istituto non prendeva provvedimenti, né con loro né con i genitori, i bulli si sono sentiti autorizzati ad alzare il tiro della loro persecuzione. E le mani. Il 27 gennaio 2016, dopo l'uscita da scuola, nel cortile del plesso, il bimbo è rimasto vittima di un pestaggio perpetrato da compagni di classe e da studenti delle medie e che gli ha procurato botte e contusioni in tutto il corpo, in particolare alla schiena, sul dorso e agli arti. Il piccolo ha avuto bisogno di cure mediche al pronto soccorso dell'ospedale più vicino, dove gli hanno riscontrato una prognosi di 5 giorni salvo complicazioni, ma l'ortopedico, dopo una visita specialistica, gliene ha riconosciuti venti, prolungando in seguito la prognosi di altri dieci. Le ferite fisiche, però, sono state il meno: il bambino ha subìto un profondo shock, non ha più avuto la forza di tornare in quella scuola, ha avuto bisogno di supporto psicologico per superare il trauma e ha iniziato a soffrire di altri problemi, tra cui la bulimia.

Il trasferimento in altra scuola

Sono stati i genitori del ragazzino a prendere in mano la situazione chiedendo il trasferimento in altra scuola. Come riferisce la nota, l’istituto frequentato ha negato che fossero mai successi atti di bullismo a scuola, arrivando persino a rifiutare - inizialmente - il nulla osta richiesto dalla mamma per trasferire il figlio in altro istituto. Per ottenere il “permesso” è stato necessario coinvolgere il Consultorio familiare dell'Azienda sanitaria provinciale. Solo di fronte all'attestazione di quest'ultima struttura che il bambino «soffriva di sindrome ansiosa a seguito di vari episodi di bullismo subiti in classe» e che si riteneva «pertanto necessario il trasferimento presso altro plesso scolastico per evitare di sottoporlo ad un costante stress con conseguente peggioramento della patologia», la sua oggi ex scuola ha “ceduto”.

La denuncia della mamma

Successivamente la mamma ha dunque presentato formale querela alla locale stazione dei carabinieri, con conseguente apertura di più procedimenti penali da parte della magistratura, e ha continuato la sua battaglia nei mesi seguenti, denunciando anche in note trasmissioni televisive il suo caso, il lassismo della scuola, l’omertà di genitori, insegnanti e operatori scolastici, e l’isolamento a cui è stata condannata per essersi “permessa” di “rompere” quel muro.La strada per Francesca e il figlio per ottenere giustizia sarà ancora lunga, ma questa richiesta di rinvio a giudizio rappresenta un primo, importante segnale da parte della magistratura circa la fondatezza delle denunce e la gravità dell’accaduto. Nella speranza, però, che vengano presto alla luce tutte quante le responsabilità e che siano chiamati a risponderne dalla giustizia “ordinaria” anche gli adulti.