«Quattro anni di dolore, di attesa, di speranza. Quattro anni di mancanza». Elsa è una mamma che non si rassegna alla perdita del figlio. È una mamma distrutta dal dolore, che da quattro anni chiede di riavere il corpo di quel figlio tanto amato che merita una degna sepoltura.

Suo figlio Francesco Vangeli aveva 26 anni quando la sera tra l'8 e il 9 ottobre del 2018 uscì dalla casa di Scaliti di Filandari, nel Vibonese, per non farvi più ritorno. Inghiottito nel nulla. Il giovane, secondo le indagini, ha pagato con la vita l’amore per una donna che riteneva portasse in grembo suo figlio. Una bimba che oggi ha poco meno di 4 anni e che Elsa pensa possa essere sua nipote. Sarà il Dna a stabilirlo.

Un dubbio che pesa come un macigno: «Voglio sapere solo la verità. Voglio solo sapere se quella bambina è la figlia di Francesco». La paternità contesa tra Francesco Vangeli e Antonio Prostamo sarebbe stata la causa scatenante, si legge negli atti del processo, che avrebbe portato all'omicidio e alla soppressione del cadavere di Francesco. Per quel delitto sono finiti in carcere i fratelli Antonio e Giuseppe Prostamo, di San Giovanni di Mileto, poi condannati entrambi a trent'anni di reclusione ciascuno, in primo grado. Secondo la ricostruzione della Dda, Vangeli sarebbe stato colpito con un colpo d’arma da fuoco, rinchiuso in un sacco nero di plastica e gettato nel fiume Mesima ancora agonizzante.

Ma neppure questa tesi convince Elsa Tavella: «Di solito il mare restituisce ogni cosa. E perché non mi ha restituito il corpo di mio figlio? E se non fosse stato gettato nel fiume Mesima?». Pensieri che si rincorrono soprattutto di notte quando l'assenza del figlio bussa prepotentemente nella mente di una donna orfana di ciò che il suo grembo ha generato. «Perché nessuno parla?», si domanda Elsa. «Perché a distanza di quattro anni chi sa non racconta la verità?».

Si rivolge ai complici, Elsa Tavella: «Anche in forma anonima - supplica - ditemi dove è il corpo di mio figlio. Francesco merita una degna sepoltura. Ho il diritto di andare al cimitero per piangere e pregare sulla sua tomba. È uno strazio non sapere che fine ha fatto il proprio figlio. È un peso insostenibile – prosegue la donna –, un dolore che non ti fa vivere ma ti condanna alla sopravvivenza. Ma continuerò a lottare anche per gli altri figli – conclude - che meritano l'affetto di una madre alla quale mancherà per sempre un pezzo di cuore». Quel figlio strappato da mani crudeli.