Il giovane dirigente comunista fu ucciso l'11 giugno 1980 a Nicotera dove stava festeggiando la vittoria del Pci nella città natìa di Rosarno. L'appassionato impegno politico e l'ombra della 'ndrangheta dietro la sua morte
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Ricordare Giuseppe Valarioti è un impegno di lotta, un impegno per una verità negata. Uno spirito libero, un intelletto vivace e una fede comunista che nelle ore che precedettero la sua morte aveva ricevuto una consacrazione storica nella sua città natia, Rosarno. Dopo i comizi e gli incontri con le persone per rivendicare il lavoro e i diritti, per denunciare le ingiustizie sociali generate dalle angherie della 'ndrangheta e da un sistema di compiacenze e connivenze, quelle elezioni avevano acceso una speranza in una città in cui c'era poco e quindi c'era molto da fare. Ma quella notte tra il 10 e l'11 giugno 1980, in cui si festeggiava questo storico risultato, non è mai finita. È ancora buio pesto intorno alla morte di Giuseppe Valarioti, il giovane dirigente calabrese del Partito Comunista Italiano di Rosarno, segretario di sezione e consigliere comunale, ucciso a colpi lupara a Nicotera, quarantuno anni fa. Un buio pesto che un processo, finito alla deriva dopo 11 anni, non è riuscito ad attenuare.
Una vita, tante passioni e l'appassionato impegno politico nel Pci
Classe 1950, diplomatosi al liceo classico Nicola Pizi di Palmi, laureatosi in Lettere Classiche all'università di Messina, Giuseppe Valarioti era professore di Lettere al liceo scientifico Raffaele Piria di Rosarno. Appassionato di studi archeologici dell'antica Medma, orgoglio della madre Caterina Cimato, rimasta a Rosarno dove è morta ultranovantenne nel 2012 senza conoscere la verità sulla morte di suo figlio, Peppe Valarioti è rimasto da quella notte un uomo, eternamente trentenne e libero, che nessuna ndrangheta avrebbe potuto piegare.
A Rosarno il suo nome risuona nella piazza centrale accanto alla Casa del Popolo, la vecchia sede del Pci che porta anch'essa il suo nome.
In questo delitto culminò la tensione tra la ndrangheta e la politica anche in Calabria, in un'Italia in mano alla Democrazia Cristiana. La sua incorruttibilità, il suo rigore nel trattare i fatti e le persone, il suo impegno contro il malaffare politico - mafioso contro la pervicace e incontrastata penetrazione della ndrangheta nelle attività economiche e produttive della Piana di Gioia Tauro, la sua attenzione rivolta alla cooperativa Rinascita di Rosarno, una delle prime esperienze associazionistiche nel settore della produzione e della trasformazione agrumicola rosarnese, lo resero inviso e fastidioso al punto da dover essere eliminato.
Solo dieci giorni dopo, il 21 giugno 1980, sarebbe stato ucciso anche l'assessore di Cetraro (CS), oltre che segretario generale della Procura di Paola, Giovanni Losardo. In occasione dei due funerali, ricorda lo scrittore calabrese, deputato comunista a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, Enzo Ciconte, scesero in Calabria Achille Occhetto per i funerali di Valarioti e Enrico Berlinguer per quelli di Losardo. Era un momento estremamente delicato per la Sinistra e per il Partito Comunista. Già il 10 dicembre 1976 era stato ucciso a Cittanova Francesco detto Ciccio Vinci, appena diciottenne, leader studentesco e attivista politico della Fgci.
Un primo prezioso contributo alla storia di Giuseppe Valarioti fu offerto dal lavoro di raccolta e documentazione dell’archivio Stopndrangheta.it e dalla ricostruzione operata a quattro mani da Alessio Magro e Danilo Chirico, con il contributo dei familiari e della fidanzata Carmela Ferro, nel libro “Il caso Valarioti. Rosarno 1980: così la ‘ndrangheta uccise un politico (onesto) e diventò padrona della Calabria”, edito da Round Robin nel 2010.
Lavorato: «Amò i braccianti e la loro fatica»
«Peppe vive nella lotta per gli ideali di libertà e giustizia, per i quali sacrificò la sua giovane esistenza. Amò Medma e la sua storia antica. La difese e la voleva valorizzare per la elevazione culturale del nostro popolo e per il lavoro che poteva far nascere. Amò la musica, le arti, la bellezza, che voleva fossero godute da tutti e soprattutto dagli umili. Amò i braccianti, i contadini, gli agricoltori, non solo perché da essi nacque. Ma per la loro fatica, le loro sofferenze. Sapeva come vivevano molti di loro», in occasione del trentennale dell’omicidio commemorati nell’antica città di Medma nel 2010, lo ha ricordato così lo storico sindaco di Rosarno, Giuseppe Lavorato che, candidato allo scranno dell’amministrazione provinciale reggina in quel frangente caldo in cui poi Valarioti fu ucciso, rimase vittima di un’intimidazione. La sua auto venne bruciata come alle fiamme fu data anche la sede rosarnese del partito dei Comunisti Italiani.
Nel suo volume "Rosarno. Conflitti sociali e lotte politiche in un crocevia di popoli, sofferenze e speranza" (Città del Sole edizioni 2016), lo stesso Giuseppe Lavorato consegna un affresco dal secondo Dopoguerra ai giorni n nostri, esplorando la Storia compiutasi in Calabria e rimasta sconosciuta, sottaciuta, sempre sottostimata. Egli delinea l'avanzamento della criminalità mafiosa negli investimenti pubblici e nella politica, l'affermazione del terrorismo che ingurgita anche questo processo involutivo, oscurandone la gravità e la pervasività, nascondendo la Calabria che cercava di porre un argine. "Con l'attenzione dei grandi mezzi di informazione completamente assorbita dall'imperversare della strategia della tensione, dalle stragi e dai delitti del terrorismo politico, in Italia pochi poterono apprendere che nella nostra terra in quegli anni si combattevano e si scontravano due Calabrie: quella degli uomini di governo che, in cambio di voti, intrattenevano rapporti di amicizia e favori con poteri criminali nel sistema degli appalti, delle commesse, del credito bancario e in tante altre attività; e la Calabria delle forti e generose lotte per il lavoro e contro la ndrangheta. Rosarno, Gioia Tauro, Polistena, Taurianova, Cittanova, Palmi, Gioiosa Ionica ed altri paesi erano spesso attraversati da manifestazioni popolari con migliaia di uomini e donne che gridavano in coro i nomi dei più pericolosi boss mafiosi e allontanavano dai palchi dei comizi i personaggi politici chiacchierati".
Nessuna verità
Definito il primo delitto politico in Calabria, uno dei tanti rimasti impuniti, l'omicidio di Giuseppe Valarioti fu seguito da una vicenda giudiziaria lunga 11 anni al temine della quale nessuna verità è stata mai restituita alla Storia.
Una petizione popolare nel 2011 chiedeva di riaprire le indagini per ristabilire la verità. Un processo fallito ebbe inizio nel 1982 a Palmi e vide imputato il capobastone di Rosarno Giuseppe Pesce. Solo prove indiziarie e una sentenza di assoluzione della corte di Assise di Palmi che non si fece attendere. Poi le dichiarazioni del pentito della ndrangheta, Pino Scriva, uno dei capi storici della mafia di Rosarno che nel 1984 imputò a Giuseppe Pesce, già assolto qualche anno prima, la qualità di mandante del delitto Valarioti.
I boss della zona erano disturbati dalla presenza di questo giovane coraggioso che denunciava pubblicamente il lassismo diffuso e la tolleranza verso la tracotanza mafiosa nello stesso contesto storico in cui, in un'altra regione, qualche anno prima lo aveva fatto Peppino Impastato. Secondo le dichiarazioni di Pino Scriva, Valarioti non era inviso solo ai mafiosi ma anche a esponenti del suo partito che il giovane sapeva contigui, vicini per convenienza ad ambienti mafiosi ai quali ricorrevano per manovalanza, automezzi, favori. Una connivenza che lo stesso giovane, era pronto a denunciare apertamente anche a livello regionale. Una intenzione che avrebbe gettato ombre su molte cooperative rosse operanti nella piana di Gioia Tauro.
Una integrità per lui naturale e necessaria e per altri scomoda e fastidiosa; tra questi altri insofferenti, secondo Scriva, c'erano anche suoi presunti amici, colleghi di partito che proprio quella sera lo avrebbero tradito svelando che sarebbero andati a festeggiare a Nicotera e favorendo l'agguato mortale. Nonostante tale ricostruzione molto dettagliata, l'attendibilità di Scriva fu minata al punto che alcuna istruttoria bis ebbe luogo e il tutto si esaurì in un'archiviazione alcuni anni dopo. Da allora un silenzio gravissimo ha avvolto e ancora avvolge la vicenda.
Un delitto che ancora fa discutere
Una ricostruzione, quella di Scriva, che aveva convinto l'allora sostituto procuratore presso la di Palmi Salvatore Boemi, l'allora sindaco di Polistena al suo terzo mandato Mommo Tripodi. Una ricostruzione che getta ombre sulla storia del Pci, che era anche il partito in cui Giuseppe Valarioti aveva scelto di militare così convintamente. Una ricostruzione che ancora oggi fa discutere. Recentemente l'amico e compagno di Giuseppe Valarioti, Rocco Lentini, giornalista e storico di Rizziconi, presidente dell'istituto Ugo Arcuri per la Storia Contemporanea e dell’Antifascismo in Calabria, ha pubblicato con i caratteri di Città del Sole edizioni Reggio, "L'utopia di un intellettuale. Giuseppe Valarioti (Rosarno, 1950 - Nicotera, 1980". Il saggio riaccende i riflettori su una storia tutt'altro che solo calabrese, su un intellettuale brillante e rigoroso, su un politico integerrimo e incorruttibile.
Le arance di carta
Inchieste giudiziarie successive alla morte di Valarioti avrebbero confortato quelle sue denunce fondate su giuste e lucide intuizioni. Nella tornata elettorale del 1980 c'era, infatti, in ballo molto più che la sola amministrazione di Rosarno, c'erano in ballo gli affari delle arance di carta che Rocco Lentini nel suo recente libro descrive così: "Le arance, anziché distrutte, con la complicità dei componenti della commissione preposta anche al controllo della distruzione e di elementi interni alla Rinascita, tornano alla cooperativa per una nuova stima e una nuova pesatura, una catena di S. Antonio. Soprattutto per questi motivi la tornata elettorale per le regionali e le provinciali del 1980 è decisiva. Non sono in gioco candidati di una o dell’altra lista. La vittoria se la contendono il cartello che se vince si sbarazza dei comunisti ed ha mano libera sulla cooperativa, dall’altra Valarioti e la parte sana del Pci che difende i piccoli contadini, che rischiano di cadere nuovamente nel taglieggiamento della ‘ndrangheta, la libertà e la democrazia. Per Valarioti era la battaglia dell’onestà, della difesa della democrazia del popolo rosarnese e non accettò consigli di prudenza, non volle sentire ragioni, nessun cedimento. Una campagna elettorale infuocata. Nei comizi rionali, anche in quelli dove abitavano i boss attaccò a spada tratta, Lavorato anche, con nomi e cognomi, denunciando lo strapotere mafioso che incombeva sulla città e sulla Rinascita. La risposta non tarda".
Un manifesto della storia di un grande Partito che lo stesso Valarioti scelse per la sua vocazione di difesa degli ultimi, come i braccianti e i contadini della Piana dai quali era nato, ma anche lo stesso partito che, come sostiene Rocco Lentini, non seppe preservare la sua etica cedendo alla tentazione di una vittoria a tutti i costi sulla DC. Zone grigie in cui maturò l'omicidio di uno dei suoi esponenti migliori, arguto intellettuale, indipendente e autenticamente senza padroni. Una visione che ancora oggi divide. Condivide il ricordo di Giuseppe Valarioti ma non la visione del Pci, l'ex vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria Ninì Sprizzi che non riconosce nella ricostruzione di Rocco Lentini il Pci dell'epoca.
Democrazia e impunità
Un dibattito che ancora non si esaurisce, mentre resta granitico il fallimento collettivo per la morte di Giuseppe Valarioti che ancora non ha avuto giustizia nelle pieghe di quella Storia che in Italia, come in pochi altri paesi, è gravida di troppi misteri che affossano la verità, oltraggiando intelligenza e onestà. Nonostante la Democrazia o quel che qui ne è riuscito a sopravvivere.