ichiesta rigettata. Per la Corte d’Assise di Catanzaro l’istanza di costituzione di parte civile avanzata dalla Regione Calabria e dal Comune di Limbadi nel processo per l’autobomba che ha portato alla morte il biologo Matteo Vinci ed al ferimento del padre Francesco non è ammissibile per decorrenza dei termini. Le questioni preliminari sono state infatti già esaminate in fase di apertura del dibattimento, ossia il 17 settembre, data in cui i due enti non avevano ancora manifestato alcuna volontà. Da qui l’inammissibilità delle due richieste. 

La Corte, nell’udienza di stamane, ha ammesso le prove richieste dalla pubblica accusa, rappresentata dalla Dda di Catanzaro, e dai difensori degli imputati, rinviando il processo al 30 gennaio prossimo per l’escussione in aula del primo teste dell’accusa: il maggiore dei carabinieri Valerio Palmieri, a capo del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Vibo Valentia.

Alla richiesta di costituzione di parte civile da parte del Comune di Limbadi e della Regione Calabria si sono opposti in aula, con specifiche argomentazioni giuridiche tese a sottolineare la tardività della richiesta, gli avvocati Francesco Capria, Fabrizio Costarella e Bruno Vallelunga in sostituzione dell’avvocato Giovanni Vecchio. 

 

Come si ricorderà la vicenda aveva preso le mosse dal fatto che Sara Scarpulla, madre di Matteo Vinci, ed il suo avvocato Giuseppe De Pace avevano lamentato di essere stati lasciati da soli ad affrontare un processo che vede la famiglia Vinci-Scarpulla parte lesa contro i Mancuso-Di Grillo.

Il Comune di Limbadi, gestito da una terna commissariale a seguito dello scioglimento per infiltrazioni mafiose,  il 2 ottobre scorso aveva “tentato di correre ai ripari”, deliberando la costituzione di parte civile e giustificando la mancata presenza all’apertura del dibattimento con il fatto «dell’assoluta assenza di elementi informativi e di conoscenza circa l’avvio del procedimento a carico degli imputati». Il Comune aveva così conferito mandato all’avvocato Giulio Ceravolo ad intervenire nell’udienza successiva fissata per il 14 ottobre (poi non tenuta per impedimento legittimo di un imputato a presenziare). Anche la Regione Calabria aveva cercato di rimediare alla “dimenticanza”, spronata dal consigliere regionale, nonché presidente della Commissione regionale antimafia, Arturo Bova.

Non v’è stato nulla da fare, poiché il tutto è avvenuto dopo la celebrazione della prima udienza del processo, quando cioè la legge non consente più la costituzione di parte civile.

 

Per la morte del giovane biologo sotto processo si trovano: Rosaria Mancuso, 64 anni, il marito Domenico Di Grillo, 72 anni, Lucia Di Grillo, 30 anni (figlia dei primi due) ed il marito Vito Barbara, 28 anni, Rosina Di Grillo, 38 anni (sorella di Lucia), tutti di Limbadi, mentre gli avvocati Francesco Capria e Antonino Carmelo Naso per Domenico Di Grillo; Francesco Capria per Rosaria Mancuso; Giovanni Vecchio e Fabrizio Costarella per Vito Barbara e Lucia Di Grillo; Antonino Carmelo Naso per Rosina Di Grillo sono impegnati nel collegio di difesa.