Il giovane cosentino, che sta scontando una condanna definitiva per l'omicidio di Stanislao Sicilia, rifiuta l'etichetta di collaboratore di giustizia e rivela nel corso dell'udienza circostanze su altri soggetti che anni addietro hanno 'saltato il fosso'
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«Non sono un pentito, ho già ritrattato tutto». Carmine Cristini sbotta nell'aula bunker di Lamezia Terme e riferisce circostanze su altri due collaboratori di giustizia in riferimento alla morte di Gianfranco Iannuzzi, alias “A ‘ntacca”, ucciso a Cassano Ionio nel 2001. Il giovane cosentino, condannato in via definitiva per l'omicidio di Stanislao Sicilia, ribadisce anche nel processo Reset che non è a disposizione della Dda di Catanzaro che lo ha citato come "pentito" nella lista testi presentata al collegio giudicante.
Carmine Cristini, rispondendo alle prime domande poste dal pubblico ministero Corrado Cubellotti, ha spiegato il suo percorso criminale. «Avevo fatto questa scelta sperando che funzionasse qualcosa nello Stato, il 2006 non ero in carcere, ma latitante. Ebbi una soffiata e decisi parlare. Dopo l'inizio della collaborazione, sono successe altre cose. Io non facevo parte di alcun gruppo, facevo le cose tutte per me, come le rapine che commettevo da solo o con Sicilia che ho ucciso anni fa».
A questo punto, la pubblica accusa ha cercato di approfondire la testimonianza ma si è fermata un attimo dopo. «Non conosco Francesco Patitucci, i Di Puppo solo di vista, so che lavoravano onestamente, così come Adolfo D'Ambrosio, mentre con Fabrizio Provenzano ci sono cresciuto insieme, è un ragazzo d'oro». L'esame si è interrotto in questo preciso istante.
Lumi sull'omicidio di Gianfranco Iannuzzi
Cristini stava per congedarsi quando l'avvocato Cristian Cristiano ha chiesto al presidente Carmen Ciarcia di porre alcune domande. «Sui pentiti che si sarebbero messi d'accordo cosa sa?», ha esclamato il difensore di alcuni imputati. E Cristini ha risposto così: «Nel 2008 ero in una sezione per collaboratori, incontrai un signore Vincenzo Curato della zona di Cassano», la cui morte è stata accertata nel 2018, «che cominciò a parlare di alcune persone, affermando di conoscere un certo professore, che ero io. Gli chiesi cosa sapeva senza far capire che stesse parlando del sottoscritto. Poi aggiunse che un procuratore della Dda di Catanzaro gli fece passare i 180 giorni a Rebibbia, in una cella di fronte a quella in cui si trovava Pasquale Perciaccante, e i due si misero d'accordo per fare dichiarazioni sulla morte di Gianfranco Iannuzzi».
Ma non è finita qui. Cristini, sempre rispondendo all'avvocato Cristiano, ha fatto riferimento anche a Pierluigi Terrazzano e Giuseppe Zaffonte: «Tutti sanno che si trovavano in Umbria e per un periodo erano insieme anche ad Adolfo Foggetti, e so che chi di competenza ha scoperto questi incontri clandestini. Il 2014 sono rientrato a Cosenza, e prima di commettere l'omicidio Sicilia, ebbi modo di parlare con alcuni ragazzi che avevano contatti con loro. Altro non so».
Cristini, in conclusione, ha detto di aver cercato «varie volte di parlare con i procuratori, ho fatto un interrogatorio anche con l'avvocato Garritano, rilasciando alcune dichiarazione. I magistrati non mi hanno mai chiamato, anzi posso dire che mi hanno trattato peggio di un boss. A Rebibbia ho compilato vari modelli per chiedere incontri ma non sono mai stato convocato».
Dichiarazioni spontanee di Fiore Abbruzzese
Al termine dell'udienza odierna di Reset, l'imputato Fiore Abbruzzese ha inteso rilasciare una dichiarazione: «Ho ascoltato le parole del signor Cristini e posso dire che sto pagando per un reato che non ho commesso». Lo storico esponente degli "zingari" di Cosenza è stato condannato a 28 anni di reclusione per il delitto di Gianfranco Iannuzzi. Ed ora spera in un ribaltamento del verdetto.