Secondo il racconto di due testimoni, Giuseppe Giampà avrebbe invitato alle nozze molti imprenditori lametini per ricevere il dono: «Non è che ci potevi mettere 100 euro come un normale cittadino»
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Imprenditori costretti ad andare al matrimonio del boss come forma di estorsione, per potere poi lasciare la classica “busta” con all’interno una ragguardevole cifra.
È quanto venuto fuori oggi durante l’udienza del Processo Piana, scaturito dall’omonima operazione della Dda e della Dia per fare luce sui presunti legami tra criminalità organizzata ed imprenditoria.
Oggi ad essere ascoltati sono stati l’imprenditore Antonio Gallo e il testimone Domenico Mastroianni, socio della Gama, azienda operante nel ramo elettrico.
Incalzato dalle domande in merito alla sua partecipazione al matrimonio di Giuseppe Giampà, attualmente collaboratore di giustizia, Gallo ha raccontato in aula come la scelta di accogliere l’invito fosse stata ponderata anche alla luce delle ripercussioni avute per avere deciso tempo addietro, ad esempio, di non prestare l’auto a Giampà.
Diversi gli imprenditori lametini invitati e poi andati a quel matrimonio. «Parlando con altri imprenditori - ha spiegato ancora Gallo - che erano stati anche loro invitati, abbiamo pensato che sicuro era per avere le buste. Non è che ci potevi mettere 100 euro come un normale cittadino».
E da quanto raccontato in aula, sembra che ogni imprenditore abbia “donato” per il lieto evento di Giampà cinquecento euro. «Gli imprenditori pagavano estorsioni, non era per amicizia» ha rimarcato Gallo.
Considerazioni condivise anche dal testimone Domenico Mastroianni: «L’invito non era nato da un rapporto di amicizia dove si va con la famiglia, ma solo per ricevere la busta».