Esame e parte del controesame del collaboratore Pasquale Megna di Nicotera Marina nel maxiprocesso Maestrale-Carthago, Olimpo e Imperium in corso dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Una deposizione nella quale non sono mancate diverse rivelazioni inedite, specialmente in ordine ai rapporti tra il clan La Rosa di Tropea e la famiglia del boss Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, con due donne in primo piano: Tomasina Certo, consorte del boss Tonino La Rosa, e Tita Buccafusca, moglie di Scarpuni e deceduto ingerendo acido muriatico. Ma andiamo con ordine.

 Riconosco Giuseppe Accorinti – ha dichiarato Megna rispondendo al pm della Dda Andrea Buzzelli – che indico quale capo del locale di ‘ndrangheta di Zungri e soggetto amico di Pantaleone Mancuso, detto l’Ingegnere, e di Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni. Di tale ruolo di Accorinti ho appreso dalla mia famiglia, mentre Gregorio Niglia, detto Lollo, di Briatico, faceva parte dell’articolazione di Accorinti e l’ho visto che praticava anche Limbadi e Nicotera. Giuseppe Barbieri, detto Peppone, è invece un nipote di Accorinti e si è reso protagonista di una gambizzazione nei confronti di un soggetto che gli doveva dei soldi. Riconosco pure i fratelli Valerio e Giuseppe Navarra di Rombiolo, soggetti vicini alla famiglia di Pantaleone Mancuso, detto l’Ingegnere, e che si occupavano della coltivazione e dello spaccio di marijuana. In particolare ricordo – ha riferito il collaboratore – che Giuseppe Navarra aveva realizzato una piantagione di marijuana a Nicotera Marina. I fratelli Aldo e Gaetano Mangialavori si occupavano invece di macchine rubate e pezzi di ricambio. Dovevano procurarmi una Panda provento di un furto, ma poi non se ne fece nulla”.

I soldi da Tropea a Nicotera e le mogli dei boss

Pasquale Megna è quindi passato a trattare la figura di Davide Surace di Spilinga che ha sposato ultimamente la figlia di Tonino La Rosa e si occupava degli affari illeciti del suocero che era detenuto. Di fatto Davide Surace ha preso a Tropea il posto di Tonino La Rosa che resta il boss del clan e che comandava nella sua zona vantando legami con i Mancuso. Federico Surace, parlando con me, mi ha anche aggiunto che così agendo per conto di Tonino La Rosa, il fratello Davide si sarebbe rovinato. Ricordo – ha aggiunto il collaboratore – che Davide Surace in un’occasione venne da me presentandomi un soggetto di Taranto che voleva commerciare il pesce. Surace mi aggiunse inoltre che se io volevo piazzare il pesce nei locali di Tropea mi avrebbe portato lui in giro presentandomi i posti giusti, ma io mi sono rifiutato in quanto sapevo che in quei locali il pesce già veniva fornito dai Tomeo con l’appoggio di Pantaleone Mancuso, Scarpuni”.
Il collaboratore è così passato a svelare – anche nel corso del controesame da parte dell’avvocato Paride Scinica – un particolare del tutto inedito e di non poco conto. Tomasina Certo, moglie del boss Tonino La Rosa e figura sotto processo con l’accusa di aver gestito la “cassa” del marito, avrebbe assiduamente frequentato a Nicotera Marina la casa di Tita Buccafusca, la moglie del boss Pantaleone Mancuso, “Scarpuni” (all’epoca detenuto), poi morta il 18 aprile 2011 ingerendo acido muriatico. “Ricordo – ha svelato Megna – che in un’occasione Tomasina Certo, detta Masina, ha portato a mia zia Tita Buccafusca, a casa di quest’ultima a Nicotera Marina, una busta piena di soldi, circa 600mila euro tutti in una volta. Si trattava di denaro proveniente dagli affari illeciti e dalle estorsioni praticate dai La Rosa a Tropea, la loro zona. Pantaleone Mancuso, Scarpuni, era all’epoca detenuto e quindi i soldi venivano portati alla moglie Tita Buccafusca che è anche mia zia”. Ad ulteriore conferma del legame tra il clan La Rosa di Tropea e i Mancuso di Limbadi e Nicotera, il collaboratore Pasquale Megna è poi passato a ricordare che in occasione di un suo ricovero all’ospedale di Tropea sono stati proprio i La Rosa e Pasquale Quaranta ad occuparsi dei pranzi da  portarmi e presi in un ristorante, così come delle colazione e tutto il resto. Questo per il rispetto che i La Rosa avevano verso mia zia Tita Buccafusca e verso i Mancuso”.

I Mesiano, Ascone e l’omicidio Chindamo

Pasquale Megna, passando ai soggetti attivi su Mileto, ha poi riferito di aver conosciuto i fratelli Fortunato, Antonello, Paolo, Saverio, Pasquale e Francesco Mesiano, quest’ultimo già condannato in via definitiva (pena già scontata) per l’omicidio del piccolo Nicolas Green avvenuto in autostrada nel settembre 1994. “I fratelli Mesiano frequentavano Pantaleone Mancuso, Scarpuni, ma non so di cosa si occupavano di preciso. Ricordo che hanno perso il padre in una faida con i Corigliano, mentre gli stessi Mesiano hanno poi ucciso Corigliano. Uno dei Mesiano ricordo pure che una volta ha sparato all’indirizzo di un bar”. Passando a Salvatore Ascone di Limbadi, ritenuto una figura importante del clan Mancuso, il collaboratore ha infine riferito che in un’occasione alcune persone di San Ferdinando si erano rivolte allo stesso Megna per “ammorbidire” Ascone il quale impediva ad una vicina di terreno a Limbadi di svolgere qualunque attività. Ascone portava gli animali nel terreno della sorella delle persone di San Ferdinando, non le faceva recintare la proprietà e rovinava tutto. Esasperati, mi dissero di avvicinare Ascone per proporgli di comprarsi il loro terreno anche con un forte sconto. Alla fine io però – ha concluso il collaboratore – non andai a parlare con Ascone in quanto temevo che lo stesso fosse monitorato con microspie”.
Nell’udienza tenuta ieri, il collaboratore ha invece confermato altri verbali già noti (e pubblicati nell’ambito di altri procedimenti penali) sia in relazione all’ipotizzata ingerenza del clan Mancuso sul villaggio Sayonara di Nicotera Marina e sull’Hotel Cliffs di Joppolo, sia sul sostegno del clan Mancuso alla latitanza a Nicotera Marina del boss di Rosarno Marcello Pesce, quanto infine all’omicidio dell’imprenditrice e commercialista di Laureana di Borrello Maria Chindamo, rapita dinanzi alla sua tenuta agricola di Limbadi nel maggio 2016 e poi uccisa. Salvatore Ascone disse a mio padre Assunto Megna – ha ricordato il collaboratore – che per quattro soldi si era dovuto caricare sulle spalle il corpo di Maria Chindamo e andarla a sotterrare”, racconto che avrebbe provocato l’indignazione dello stesso Assunto Megna poiché si trattava dell’omicidio di una donna”. Del delitto di Maria Chindamo si sta occupando la Cirte d’Assise di Catanzaro.