Nelle motivazioni della sentenza d’appello con rito abbreviato il mutamento di ruolo dell’avvocato posto a capo della cosca che viene “elevato” ed amplificato (ASCOLTA L'AUDIO)
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«Gli elementi emersi in seno al presente processo amplificano ed “elevano” l’imputato da mero concorrente esterno a vero e proprio capo ed organizzazione del sodalizio unitariamente inteso».
Era una delle questioni più importanti da dirimere nell’ambito del processo d’Appello: per la difesa, Giorgio De Stefano non poteva essere accusato di rivestire un ruolo apicale quale intraneo all’associazione mafiosa anche in considerazione del ruolo già accertato con sentenza passata in giudicato, che lo collocava quale concorrente esterno rispetto alla ‘Ndrangheta.
La tesi difensiva
Ed infatti, il collegio difensivo di Giorgio De Stefano aveva chiesto, in via subordinata rispetto all’assoluzione, la riforma della sentenza appellata in merito al reato contestato, riqualificandolo in concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo i difensori, infatti, «la motivazione della sentenza appellata non ha comunque fornito prova dell’avvenuto mutamento del dolo rispetto alla condotta già ritenuta sussistente con la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria», né avrebbe indicato «come l’imputato avrebbe assunto, e per quale motivo in considerazione dell’assenza di interessi economici o di altra natura, la posizione di partecipe con ruolo direttivo all’interno dell’associazione mafiosa».
Le valutazioni della Corte
Doglianze che, ad avviso della Corte, sono da ritenersi infondate. «Si precisa – scrive la Corte – che la figura dell’appellante, per come tratteggiata nel processo “Olimpia 1”, è quella di soggetto che, pur non facendo parte del sodalizio criminale di riferimento, assicura nel tempo (quanto meno dall’anno 1986 al 1999) il proprio concreto, specifico e causalmente efficiente apporto al mantenimento in vita ed al rafforzamento dell’organizzazione criminale denominata cosca De Stefano». Ora, «se tale è la “collocazione” di Giorgio De Stefano all’esito dell’accertamento del processo “Olimpia 1”, gli elementi emersi in seno al presente processo amplificano ed elevano l’imputato».
In sostanza, per i giudici, De Stefano non è più un mero concorrente esterno, ma un capo riconosciuto, nella «qualità di partecipe della componente “invisibile” della ‘Ndrangheta, struttura di vertice chiamata a svolgere compiti di direzione strategica e, in ultima analisi, di gestione “occulta” delle scelte di politica criminale del sodalizio di stampo mafioso denominato ‘Ndrangheta – la cui natura unitaria è stata giudizialmente accertata nell’ambito di numerose sentenze passate in giudicato – presente ed operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria, sul territorio nazionale ed all’estero, costituta da numerosi locali, caratterizzata da strutture a carattere intermedio con funzioni di coordinamento e controllo, articolata in tre mandamenti e dotata di organo collegiale di vertice denominato “Provincia”, la cui funzione è essenzialmente quella di garantire il rispetto delle regole di vita di ‘Ndrangheta e di esteriorizzare le decisioni assunte dalla componente “invisibile”, a beneficio della base del sodalizio».