I giudici d'Appello hanno emmesso 13 anni di condanna per il padre dell'ex attaccante campione del mondo nel 2006 confermando l'associazione mafiosa
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«Fino a qualche anno fa ero un campione del mondo. Oggi con mio padre Giuseppe sono vittima della giustizia italiana. Nella mia vita non avrei mai pensato di dovermi difendere da un'accusa tanto infamante». Inizia così il videomessaggio di Vincenzo Iaquinta, affidato alle sue pagine social, ex attaccante della Nazionale italiana di calcio e della Juventus, a cui sono stati confermati in Appello i due anni di condanna per detenzione illegale di armi nel processo Aemilia.
Sullo sfondo del video veste la maglia dell'Udinese ed è assieme al padre Giuseppe, imprenditore edile cutrese con base a Reggiolo, nel Reggiano, nei cui confronti i giudici dello stesso processo contro la 'ndrangheta hanno deciso 13 anni di condanna (sei in meno rispetto al primo grado) confermando l'associazione mafiosa.
«Non mi arrendo alla sentenza - continua Iaquinta - sono responsabile moralmente di difendere l'onestà di mio padre. Non mi sono mai sentito tanto solo e scoraggiato nella mia vita come in questo momento. Mi sento deluso perché per la seconda volta mio padre è stato condannato da uomini che non hanno giudicato in base alla realtà dei fatti. Una volta si può sbagliare, due inizia a diventare accanimento giudiziario. Una vita di una persona non può essere distrutta senza aver commesso quello di cui viene accusato».
Infine l'ex calciatore promette battaglia: «Non posso esimermi ad urlare l'innocenza di mio padre. Lo devo a lui che in questo momento è impotente, incredulo, sfiancato. Lo devo alla memoria di mia madre che si è lasciata morire dal dolore. Lo devo ai miei figli. Oggi sono un uomo stanco, le mie gambe non corrono più. La mia testa corre più veloce cercando una soluzione. Non cerco pietà, un miracolo o la compiacenza di nessuno. Voglio solo giustizia, verità. Mio padre è in carcere per errore e finché non si ammetterà la verità, la mia voce non smetterà di urlare la sua innocenza. Da ora io sono Giuseppe Iaquinta, condannato da innocente».
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