L’operazione antidroga del 2010 e il sequestro di un arsenale da guerra. La rapina al caveau con i cutresi e la contestazione dell’aggravante mafiosa. Gli arresti di aprile e l’analisi del gip: «Dopo il 2017 il clan rom ha assunto una sua autonomia strutturale»
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Il clan degli zingari di Catanzaro è stato per anni un «elemento di supporto operativo nei confronti delle cosche storiche di Isola Capo Rizzuto, Cutro e di Catanzaro». In particolare ha servito le cosche Arena, Grande Aracri e il clan dei Gaglianesi.
Ma i segnali che il gruppo rom stesse acquisendo una propria autonomia in seno alle famiglie di ‘ndrangheta, si cominciano a manifestare già nel 2010 con l’inchiesta antidroga della Dda di Catanzaro denominata “Rinascita” che il 9 novembre portò all’arresto di 73 persone con l’accusa di associazione armata finalizzata al traffico di droga. Gli arresti sono stati eseguiti prevalentemente nella zona a sud del capoluogo di regione, nei quartieri Aranceto, Corvo, viale Isonzo. Vale a dire l’area che ospita la comunità rom.
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I fornitori reggini e il controllo del traffico di droga nei quartieri sud di Catanzaro
I fornitori erano reggini mentre i rom erano gli acquirenti e la spacciavano sul territorio. In particolare gli inquirenti – allora coordinati dall’attuale procuratore facente funzioni di Catanzaro Vincenzo Capomolla – avevano individuato due gruppi in guerra e contrapposti e sequestrato una grossa quantità di armi tra le quali fucili, pistole e kalashnikov. La Squadra mobile di Catanzaro, raccontano le cronache dell’epoca, era intervenuta prima che si scatenasse una guerra tra i due gruppi. Gli zingari, secondo la tesi della pubblica accusa, avrebbero avuto la totale gestione del mercato della droga in tutti i quartieri a sud della città di Catanzaro, con importanti rapporti con esponenti della ‘ndrangheta del reggino e, soprattutto, con un’inquietante disponibilità di armi. All’epoca non si parlava ancora di clan ma di gruppi criminali.
La rapina al caveau e l’aggravante mafiosa contestata a Passalacqua
La Dda di Catanzaro arriva a contestare l’aggravante mafiosa a un esponente della comunità rom nel corso del processo per la rapina al caveau della Sicurtransport. Un colpo da otto milioni di euro messo a segno la notte del quattro dicembre del 2016. Un colpo rocambolesco che vede coinvolti una dozzina di uomini col volto coperto e dotati di armi da guerra. Grazie a un mezzo cingolato, con martello pneumatico, erano penetrati nel caveau e, nel frattempo, avevano ostacolato l’intervento delle forze dell’ordine posizionando lungo le vie d’accesso numerose auto rubate e date alle fiamme, cospargendo le strade con chiodi e utilizzando, altresì, un apparecchio inibitore di frequenze (il cosiddetto jammer) per ostacolare le comunicazioni dei vigilanti e delle forze di Polizia. Ad aprile 2018 la Dda di Catanzaro, che ha coordinato le indagini della Squadra Mobile del capoluogo, ha portato a termine un’operazione, denominata “Keleos” che ha portato a sette arresti e, qualche tempo dopo, ulteriori due arresti. A marzo 2022 sono divenute definitive sei condanne.
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Il rimpallo e i ricorsi in Cassazione sull’aggravante mafiosa
Tra i condannati per la rapina c’è anche un soggetto di etnia rom, Giovanni Passalacqua. A lui e a Dante Mannolo (cugino omonimo del collaboratore di giustizia) in primo grado viene riconosciuta l’aggravante mafiosa. Aggravante che cade in appello. L’accusa ricorre in Cassazione e gli ermellini annullano la sentenza con rinvio affermando che i giudici di appello non hanno tenuto conto delle dichiarazioni del collaboratore Santo Mirarchi (ex referente delle cosche crotonesi nel Catanzarese) «il quale, per come accertato dal giudice di primo grado, aveva riferito che l’assalto non era stato nemmeno ideato personalmente dal Passalacqua ma era stato a questo proposto dal noto capo mafia Paolo Lentini della famiglia degli Arena senza il cui placet la rapina non si sarebbe mai potuta realizzare». Si apre un secondo processo d’appello che termina con il riconoscimento dell’aggravante mafiosa. A questo punto ricorrono in appello le difese: gli avvocati Francesco Gambardella, Luigi Falcone, Stefano Nimpo e Salvatore Iannone.
La Cassazione annulla anche questa volta con rinvio: «La Corte di Appello non ha compiuto una disamina delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia accurata e rispettosa dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità». E mentre i vari giudici rimpallano sulla credibilità dei collaboratori si attende che venga fissata la data per il terzo processo d’appello sull’aggravante mafiosa contestata a Passalacqua.
Una cosa è certa: i rom, i cutresi e altri soggetti pugliesi avevano fatto squadra per realizzare il colpo milionario.
La contestazione dell’associazione mafiosa con l’operazione di aprile 2023
Ad aprile 2023 una nuova operazione della Dda di Catanzaro contesta l’associazione mafiosa alla cosca degli zingari. Il gip Filippo Aragona appoggia la tesi degli inquirenti e la loro ricostruzione storica: «Dopo il 2017 il clan degli zingari ha assunto una sua autonomia strutturale operativa rispetto alle altre cosche di ‘ndrangheta grazie al fatto che le cosche mafiose storiche operanti a Catanzaro, Cutro e Isola Capo Rizzuto hanno conferito ai capi del clan degli zingari doti di ‘ndrangheta per consentire loro di interagire all’interno delle dinamiche mafiose. Tale apertura ha determinato le condizioni perché gli zingari progressivamente acquisissero l’expertise necessaria per costituire un gruppo indipendente operante nei settori degli stupefacenti, armi, estorsioni e reati contro il patrimonio, avvalendosi della forza di intimidazione mafiosa».
La distrettuale di Catanzaro contesta l’esistenza della cosca Bevilacqua-Passalacqua. L’autonomia non è stato un traguardo semplice ma «è stato attraversato – scrive il gip Aragona – da momenti di forte contrapposizione con gli altri clan, come si ricava dagli omicidi di Domenico Veccelloque e di Domenico Bevilacqua». Le attività illecite portate avanti dalla cosca sono lo spaccio di droga e le estorsioni.
Un paio di esempi per farsi un’idea dell’importanza che il gruppo attribuisce a questi due remunerativi business.
Autonomia nello spaccio e nelle estorsioni
Nel 2018, in occasione dell’arresto di Domenico Passalacqua per resistenza nei confronti di un pubblico ufficiale, Armidio Bevilacqua «si è immediatamente attivato nell’interesse del gruppo mafioso affinché Passalacqua fosse collocato agli arresti domiciliari presso una abitazione diversa rispetto a quella dove avveniva l’attività di spaccio di droga».
In una conversazione captata a marzo 2019 tra Ernesto Bevacqua alias “u giappone” e Massimo Bevilacqua alias “u malloscio”, emerge che era stato stabilito un accordo per la gestione delle estorsioni tra i clan di Isola Capo Rizzuto e il clan degli zingari. I due però lamentano il fatto che gli isolitani non stavano rispettando i patti. Il «boss emergente» Bevacqua stabilisce allora col suo luogotenente di agire autonomamente.
Ritorna, anche in questa inchiesta, il ruolo di vertice assunto da Giovanni Passalacqua. I collaboratori di giustizia Santo Mirarchi e Annamaria Cerminara (che di Passalacqua è stata compagna) affermano che l’uomo «gestiva i rapporti con i capi cosca delle famiglie di 'ndrangheta influenti nel territorio catanzarese e si interfacciava con le cosche di 'ndrangheta crotonesi e isolitane per mantenere gli equilibri tra quei gruppi e la comunità nomade».
La Dda ha chiuso le indagini contro la presunta cosca Passalacqua-Bevilacqua con 82 indagati. Il procedimento prosegue e una sentenza, presto o tardi, dovrà ora sancire l’esistenza o meno di un gruppo di ‘ndrangheta di etnia rom imperante a Catanzaro.