È in liquidazione dal 2013. Controllata da Anas e compartecipata da Rfi e dalle Regioni Calabria e Sicilia è dunque dello Stato, ma allo Stato ha fatto causa per 325 milioni di euro. Oggi costa ancora 150mila euro l’anno per le parcelle agli avvocati che resistono in giudizio a richieste di risarcimento per circa 800 milioni di euro (ASCOLTA L'AUDIO)
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«Il primo atto formale e concreto che riapre la via, è reinsediare la società Stretto di Messina, che dovrà tornare a svolgere le sue funzioni». Potrebbe subire una decisa accelerata, l’idea del ministro delle infrastrutture Salvini di riprendere il filo del discorso sul ponte dello Stretto: forse già lunedì, se come anticipato dal segretario leghista, la norma per riesumare la società che si occupa da quaranta anni dei progetti sull’attraversamento stabile tra Calabria e Sicilia, dovesse essere inserita nel testo della legge di bilancio in discussione in Consiglio dei ministri all’inizio della prossima settimana.
A volte ritornano
Immaginata nel 1971 e formalmente costituita dieci anni più tardi, la “Stretto di Messina” – società pubblica controllata per oltre l’80% da Anas e compartecipata da Rfi con il 13% e dalle Regioni Calabria e Sicilia che si dividono, in parti uguali, poco più del 5% – è formalmente in liquidazione dall’aprile del 2013. In attesa della “rianimazione” invocata da Salvini, avrebbe dovuto chiudere definitivamente entro un anno dal “liberi tutti” ma, da quasi un decennio, resta sospesa in un limbo fatto di richieste risarcitorie, avanzate e subite. Negli oltre 40 anni di esistenza, si è occupata di tutto quello che gravitava attorno al miraggio del ponte: dagli studi di fattibilità, alle progettazioni preliminari, fino all’affidamento vero e proprio al consorzio di costruttori.
Un mastodonte costato (finora) oltre 300 milioni di euro e attualmente guidato dal commissario liquidatore Vincenzo Fortunato, storico capo di gabinetto del ministero delle Finanze fin dai tempi di Giulio Tremonti a via XX settembre. Dopo l’approvazione del progetto preliminare da parte del Cipe, nel 2003, fu la Stretto di Messina a bandire il concorso e ad assegnarlo, per 3,87 miliardi di euro nel 2006 (a qualche giorno dal voto per il rinnovo del Parlamento), al gruppo Eurolink, costituito per l’occasione e formato da Impregilo, Sacyr, Condotte, Cmc, Ihi e Argo. Sospeso l’iter durante il biennio del Prodi bis, il progetto del ponte ritornò in auge con il ritorno al governo di Berlusconi: nel 2009 venne anche realizzata la variante ferroviaria di Cannitello che spostò i binari di qualche decina di metri dal vecchio percorso in vista dei futuri lavori. Opera che resta, ad oggi, l’unica realizzata rispetto al faraonico progetto definitivo.
E se Salvini vuole riattivare la società che non ha mai, di fatto, chiuso i battenti – e che costa ancora oltre 150mila euro l’anno, tra compensi e salate parcelle legali – la stessa società rimane ancora in piedi perché, pur essendo dello Stato, allo Stato ha fatto causa per 325 milioni. Un indennizzo avanzato proprio al ministero per le infrastrutture qualche giorno prima della sua formale messa in liquidazione e proposto per via della «mancata realizzazione dell’opera, indotta dal venir meno della convenzione di concessione». Una storia, quella della richiesta di indennizzo, che si trascina da nove anni e che, la Corte dei Conti ha bollato nel 2019 come «contraria ai principi di proporzionalità, razionalità e buon andamento dell’agire amministrativo, tenuto anche conto che quanto eventualmente ottenuto in sede giudiziaria ritornerebbe agli azionisti dopo l’estinzione della società». Invocando «la rapida chiusura della società» poi, i giudici contabili sottolineavano come fosse urgente agire «per porre fine ai gravosi oneri finanziari, considerata l’assenza di attività, se non quella di resistenza in giudizio, affidata, peraltro, ad avvocati esterni».
E se da una parte la “Stretto di Messina” batte casse nei confronti dello Stato, dall’altra la stessa società resta sotto scacco del consorzio Eurolink (che aveva vinto l’appalto come contraente generale) e della società statunitense “Parson Transportation Group Inc” che si era aggiudicata il bando di “project management consulting”. Con la messa in liquidazione della Stretto di Messina infatti, entrambi i due colossi delle costruzioni, pur non avendo materialmente mai tirato su nemmeno un centimetro di ponte, hanno chiesto risarcimenti stratosferici davanti al tribunale civile di Roma. 700 milioni la richiesta avanzata da Eurolink, più di 90 quella del gruppo Person: due macigni che rimbalzano di Tribunale in Tribunale dal 2014 e che incombono sullo Stretto, molto più dei proclami sul ponte.