«Questo muore… Questo muore…». Lo ripete due volte l’avvocato Salvatore Staiano, rivolgendosi al collegio giudicante del maxiprocesso Rinascita Scott. Lo ascolta, in videocollegamento dal carcere di Melfi, il suo assistito, Giancarlo Pittelli. L’immagine che restituisce il monitor dell’aula bunker di Lamezia Terme è remotamente lontana da quella di cui i media hanno memoria: niente giacca né cravatta, niente toga per l’ex parlamentare della Repubblica, avvocato e giurista, oggi nuovamente detenuto, indossa una giacca color ciano sopra una maglia scura. 

L’avvocato Staiano interviene in apertura dell’ultima udienza per contestare e chiedere la revoca della decisione del collegio giudicante che, ravvisando la «chiara volontà di incidere sul processo», ha rimandato in carcere lo stesso Pittelli. Decisione del Tribunale assunta in seguito alla lettera inviata alla «ex amica» (così l’ha definita il difensore) Mara Carfagna. «Non ha scritto al ministro – dice Staiano – ma alla parlamentare. E alla parlamentare poteva scrivere. Parliamo di un uomo professionalmente, moralmente e finanziariamente distrutto, che ha gridato la sua disperazione e nient’altro».

L’avvocato dell’ex deputato e senatore scansiona passo dopo passo la missiva che, una volta ricevuta, la segreteria del ministro Carfagna ha consegnato alla Polizia di Stato. Staiano richiama principi di giurisprudenza e diritto. Quindi aggiunge: «La prova provata che scrive sciocchezze è quando sostiene di non essere stato mai interrogato né dal pm né dal gip. È falso. Pittelli ha un Parkinson incipiente, non capisce più niente di diritto. È convinto che ci sia un complotto contro di lui. È convinto che ci sia addirittura la Cia dietro il complotto che lo ha avvinto. E cosa ha scritto alla Carfagna? “Aiutami in qualunque modo”, il gesto disperato di un uomo che farnetica. Lo state trattando come una pallina da ping pong. Su Pittelli è stata costruita l’immagine di un mostro. La vostra grandezza – chiosa rivolgendosi al Tribunale – sarà nel comprendere che in nessun modo poteva e intendeva incidere sull’andamento del processo. Vi chiedo di tornare indietro alla decisione che avete assunto e chiedo sia accolta l’istanza di revoca».

All’epilogo dell’arringa difensiva, è proprio Giancarlo Pittelli a prendere la parola. Il tono è sommesso, ma non incerto: «Signor Presidente, se posso... – esordisce Pittelli – Non sono mai intervenuto in questo dibattimento, solo per la vergogna, per la mortificazione, per il dolore e la sofferenza che provo, sicuramente non per mancanza di riguardo nei confronti del collegio giudicante. La lettera che ho scritto ad una vecchia amica, sanzionata con durezza e severità. I contenuti di quella lettera, nella quale si fa riferimento alla disattenzione della giurisdizione, non hanno nulla a che fare con il collegio giudicante, ma si riferiva alla giurisdizione della fase cautelare. Io non ho mai inteso interferire nel processo e sul processo. Subisco un trattamento particolare e immotivato – aggiunge l’imputato – A voi è consentito dire che il mio è stato un tentativo di interferire nel processo, ad miei altri ex colleghi che hanno sostenuto questo no».

Nelle sue dichiarazioni spontanea, Pittelli offre l’esatta dimensione del dramma che vive: «Da quella notte del 19 dicembre 2019 io esisto solo negli atti giudiziari e in programmi televisivi che ha fatto strame di me stesso e della mia famiglia. Ho assistito sulla mia pelle ad una campagna mediatica, per ragioni di clamore e visibilità, che non ho mai visto in quarant’anni di carriera. Io, da allora, esisto solo qui: negli atti giudiziari e nei programmi televisivi. Quando gli avvocati mi autorizzeranno – la chiosa – vi offrirò gli elementi di merito che dimostrano la mia estraneità alle accuse di concorso esterno relativo al disvelamento di atti secretati o del loro contenuto. È una contestazione falsa e priva di fondamento, che dimostrerò in maniera documentale».

«Inammissibile l’istanza di revoca prospettata dalla difesa», replica il pm antimafia Andrea Mancuso, che si sofferma esclusivamente sui profili giuridici, connessi all’istanza formulata dall’avvocato Salvatore Staiano: per la Procura è il Tribunale del Riesame a doversi pronunciare, non il collegio. Il Tribunale di Vibo Valentia presieduto dal giudice Brigida Cavasino (a latere Claudia Caputo e Gilda Romano) si riserva la decisione, sulla revoca del provvedimento che ha riportato in carcere Giancarlo Pittelli.