VIDEO | L'ultima deposizione del primo pentito calabrese risale al 2018: «Scappavo dal carcere, non sapevano guardarmi...». L'audio trasmesso nell'ultima puntata di Mammasantissima
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«Io vengo dai morti»: così Pino Scriva si presentò per la prima volta volta al giudice. Un pentito controverso la cui credibilità, nel 1994, fu certificata dai giudici della Corte d’Assise di Palmi nel maxiprocesso alla Mafia delle Tre province.
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La sua ultima deposizione - il cui audio è stato trasmesso nell'ultima puntata di Mammasantissima - risale al 2 luglio del 2018, quando al processo ’Ndrangheta stragista, a Reggio Calabria, sul patto scellerato tra Cosa nostra e le famiglie calabresi per esportare il terrorismo mafioso dalla Sicilia nel Continente, pronunciò una frase attraverso cui offriva all’aula il senso che aveva di sé: «Se si chiama ’ndrangheta è perché l’ho detto io» - disse rispondendo al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. «Tutta la mia famiglia faceva parte della 'ndrangheta dal 1950 che ricordo io... c'era mio zio, l'hanno ucciso mentre si faceva la barba. Mio padre mi ha messo Giuseppe per lui».
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Medaglione l'alto grado che avrebbe avuto: «Quando sono nato mi hanno fatto giovane d'onore. Lo sgarro me l'hanno dato in carcere. Ho fatto 30 anni di carcere, a febbraio del '68 mi sono sposato, dopo 4 mesi la prima disgrazia. Ho ucciso Pasquale Apa. Io scappavo dal carcere, ho fatto tre evasioni, la prima da Nicastro. Gli altri erano addormentati, non sapevamo guardarmi».
Chi era Pino Scriva
Rosarnese, nato il 2 aprile 1946, figlio di don Ciccio, uno dei padrini della vecchissima guardia, Pino Scriva fu il primo a collaborare con la giustizia. Si dissociò e saltò il fosso quando il pentitismo, nelle terre delle mafie, era un miraggio: correva il 27 ottobre del 1983 e al giudice istruttore iniziò a raccontare dell’omicidio di Salvatore Monteleone, consumato da Giuseppe Avignone, con la complicità mai confermata in sede giudiziaria dei Mancuso di Limbadi, nell’ambito della faida che insanguinava Taurianova.
Fu principale teste dell’accusa al maxiprocesso Mafia delle tre province, il re delle evasioni, implicato e poi scagionato nelle indagini sull’assassinio del giudice Francesco Ferlaino. Scriva rese dichiarazioni, anche controverse, su alcuni dei fatti di sangue più agghiaccianti della storia del crimine organizzato calabrese, come sulla Strage di Razzà, quando riferì della presenza, al summit interrotto dai carabinieri che furono uccisi, perfino di un uomo di governo, col quale infine si scusò per la calunnia attraverso una lettera inviata a Gazzetta del Sud. Avrebbe dovuto testimoniare anche nel maxi processo Rinascita Scott ma morì prima. Si è spento a 75 anni il 3 febbraio 2021.