Antonio Marziale punta il dito contro la piattaforma social che consentirebbe la promozione di Mafia city, un video game dove si vince salendo la scala gerarchica dell’organizzazione criminale. «Possibile che magistrati e polizia non se ne accorgano?»
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Picchiatori, motociclisti e tiratori da reclutare per un solo obiettivo: la costruzione di una città mafiosa in cui imporre il potere e le regole della malavita.
Non molto distante dalla realtà, ma nella sostanza la rappresentazione virtuale di un fenomeno complesso e dalla difficile eradicazione dedicata ad appassionati di video game e di fiction, film e docufilm che la mafia hanno provato a raccontarla. Ultimo di una lunga serie, il nuovo video game si chiama Mafia city: in “palio” la conquista del titolo di Padrino ed un clan tutto da governare.
Un gioco, ma anche lo spunto per un dibattitto che vede il sociologo Antonio Marziale, Garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Calabria, in prima fila tra i contestatori.
«Nel Paese dove la mafia contende quotidianamente il potere del controllo allo Stato, dove uomini delle istituzioni sono stati massacrati senza alcuna pietà, dove la fascinazione criminale coinvolge chissà quanti giovanissimi, come soluzione ai problemi di disoccupazione e accumulo di ricchezza, dove magistrati e forze di polizia combattono per tentare di drenarne la diffusione – le sue parole - si accetta senza batter ciglio che social network come Facebook veicolino promozioni di videogiochi che fanno da palestra al fine di “sviluppare il clan e diventare un vero Padrino”, si noti con la “P” maiuscola».
Marziale etichetta il tutto come «vergognoso» e per questo motivo gira subito la questione alla magistratura ed alle forze di Polizia. «Nessuno ha fatto caso a questa istigazione a giocare avendo come premio un bel “Padrinato”? Non ci credo, così come non credo che in nome di non si capisce quale libertà di pensiero bisogna lasciare che ciò si perpetui nel tempo senza valutarne le conseguenze. I giochi innocenti per bambini deficienti, tanto per parafrasare un comune detto - spiega il sociologo - sono in disuso da tempo. Erano quelli artigianali. Con l’avvento della tecnologia i bambini hanno finito di fantasticare e si ritrovano a giocare non più da protagonisti, ma da meri esecutori delle istruzioni per l’uso, e giocando imparano. Giocare a diventare “Padrino” ha sostituito il gioco a fare il poliziotto e sugli effetti dei videogiochi sul piano emotivo e pedagogico non c’è bisogno che io aggiunga alcunché, perché ormai la scienza ha finanche esaurito le argomentazioni, che evidentemente non sono state in alcun modo recepite, nemmeno da uno Stato disattento verso ciò che sta pericolosamente accadendo. Zorro è morto – chiude Marziale - Don Corleone è risuscitato, e se magari si intendono studiare le ricadute anche sociali, si venga in Calabria o in zone dove la malavita spadroneggia, si parli con i giovanissimi che, per gioco, si sono attribuiti i nomignoli degli eroi di Gomorra. Ne conosco tantissimi».